C’è sempre una prima volta. Urbano Cairo, l’editore di Rcs Corriere della Sera, si è sempre vantato di tagliare i costi, ma non i dipendenti. Ora ha “tagliato” invece lo storico inviato e corrispondente da Bruxelles, Ivo Caizzi. È successo in silenzio, durante il lockdown per il coronavirus. Caizzi, chiuso in casa a Bruxelles, ha ricevuto la comunicazione che l’editore interrompeva il rapporto di lavoro, senza preavviso e senza motivazione. E malgrado il governo avesse sospeso i licenziamenti senza giusta causa fino ad agosto. Cairo avrebbe potuto aspettare la scadenza del contratto da corrispondente dall’estero, che avrebbe potuto non rinnovare. Non è lontana neppure la possibilità per Caizzi di andare in pensione. Ma l’editore non ha voluto aspettare, né trattare con il comitato di redazione, subito informato dal giornalista. Ha fatto scattare il recesso, immediato e immotivato, in piena emergenza sanitaria.
Lo scorso anno, Caizzi aveva avviato una iniziativa “a tutela dell’indipendenza e della credibilità del Corriere”, protestando con il direttore Luciano Fontana per una prima pagina del giornale che annunciava, con un articolo di Federico Fubini, una inesistente procedura d’infrazione dell’Unione europea contro l’Italia, mai avviata neppure in seguito. Caizzi anche in precedenza era intervenuto nel dibattito sindacale interno al giornale, criticando il gruppo di comando del Corriere per le perdite di copie, l’influenza della pubblicità e del marketing e, di recente, anche per la richiesta di Rcs di aiuti pubblici nonostante gli ingenti profitti e i “bonus d’oro” ai principali dirigenti. Il cdr del Corriere è intenzionato a sostenere Caizzi, ritenendo che il suo licenziamento non sia affatto avvenuto, come pretende l’azienda, “nell’ambito delle comuni facoltà previste dall’ordinamento legislativo”.