Riempiono le reti dei pescatori, uccidono i pesci e inquinano i fondali cristallini dell’isola d’Elba. E i primi ad accorgersene sono i pescatori che ogni giorno tirano su scarti su scarti di microplastiche. Nei fondali del mar Tirreno, tra Piombino e l’Isola d’Elba, ci sono 56 ecoballe che si stanno sfaldando, divorando la flora e la fauna. Presto potrebbero invadere anche la costa, dopo aver già inquinato le acque dell’isola d’Elba orientale. “Una bomba ecologica” la definiscono da Greenpeace che ha presentato esposto alla Corte dei Conti per danno erariale contro la Regione Toscana perché “aveva in mano una fidejussione di quasi tre milioni di euro, poi restituiti, a garanzia dei possibili danni ambientali intercorsi durante le operazioni di trasporto”. Quelle 63 tonnellate di rifiuti sono lì da quattro anni: nessuno le ha recuperate ed è molto probabile che questo non avverrà in tempi brevi. Perché? Dal 2019 la burocrazia romana ha bloccato tutto.
Tutto inizia il 23 luglio 2015. Il cargo “Ivy” battente bandiera Isole Cook e di proprietà di una società con sede alle isole Marshall, salpa dal porto di Piombino dopo aver prelevato le 60 ecoballe da un’azienda di Grosseto: il comandante turco Sanin Ozkaya le deve portare a un cementificio di Varna, in Bulgaria. All’altezza dell’isolotto di Cerboli, zona protetta del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, però la “Ivy” comincia a perdere assetto nonostante il mare sia calmo e, per salvare l’equipaggio, il comandante disperde in mare il carico senza comunicare niente all’Autorità marittima. L’imbarcazione arriverà in Bulgaria solo il 2 agosto ma le autorità italiane, la Capitaneria di Piombino e la Procura di Grosseto, non riusciranno mai a rintracciare il comandante turco per spiegare i motivi dell’avaria e dei rifiuti dispersi sui fondali. Le 56 ecoballe però restano e piano piano iniziano a sfaldarsi. Ma non è finita: alle difficoltà investigative – il fascicolo è passato per competenza alla Procura di Livorno – si aggiungono i gangli della burocrazia romana in cui rimane impigliato il contrammiraglio Aurelio Caligiore.
Il 25 giugno 2019, quattro anni dopo l’accaduto, viene nominato dal governo commissario straordinario per il recupero e lo smaltimento di quei 63mila chili di plastica dispersi nel golfo di Follonica. L’incarico dura un anno, scaduto pochi giorni fa, ma Caligiore non ha mai potuto effettivamente applicare il suo piano: la nomina è stata bloccata a dicembre a causa di un procedimento aperto dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (Agcm) per potenziale conflitto di interessi. A Caligiore viene contestata l’incompatibilità tra il ruolo di commissario straordinario e quello di capo del Reparto ambientale marino delle Capitanerie di porto (Ram), struttura del ministero dell’Ambiente. La decisione dell’Agcm era stata fissata al 22 aprile ma l’emergenza covid ha fatto slittare tutto al 31 luglio, quando ormai l’incarico del contrammiraglio sarà scaduto da un mese.
A metà giugno, lasciando il suo ruolo, Caligiore ha presentato un piano che potrebbe recuperare e smaltire le ecoballe in tre settimane e al costo di un milione e mezzo di euro. Ma nel frattempo il suo incarico è scaduto. Le 60 tonnellate di rifiuti sui fondali del mar Tirreno però rimangono e stanno provocando i primi effetti nefasti: tra il 2018 e il 2019 gli elbani hanno notato un vistoso aumento di plastiche e una ecoballa è stata recuperata nelle acque tra Capoliveri e Porto Azzurro. Poi ci sono i pescatori di Piombino che ormai, insieme ai pesci, tirano su rifiuti di ogni tipo.
“Il tempo passa e la presenza delle ecoballe diventa sempre più rischiosa per l’ecosistema marino – dice da settimane Angelo Gentili di Legambiente – Il rischio è la contaminazione dei fondali oltre ai disagi e ai rischi per i pescatori. Una bomba ecologica che deve essere disinnescata subito”. Di possibile “disastro ambientale” parla invece il sindaco di Piombino, Francesco Ferrari, in caso di rottura di una delle ecoballe. Solo nei ministeri romani si può sbloccare la situazione: il governatore della Toscana Enrico Rossi e il ministro dell’Ambiente Sergio Costa hanno scritto al capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, per dichiarare lo stato di emergenza e velocizzare le pratiche per il recupero delle ecoballe. Al momento però nessuna risposta è arrivata.