Non sarà stata la “semplicità che è difficile a farsi”, ma non era nemmeno così complicato. Eppure c’è voluta l’iniziativa del Forum Disuguaglianze Diversità, coordinato da Fabrizio Barca, ex ministro, ex funzionario di primo piano della Banca d’Italia, per dare un’indicazione preziosa: prendere l’eccellenza rappresentata dalle aziende pubbliche italiane, provare a coordinarle, costruire una discussione comune sulle strategie e per questa via affrontare seriamente un processo di innovazione e ricostruzione.
L’iniziativa presa dal Fdd, con queste caratteristiche, ha ricevuto la “benedizione” del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, il “vero” azionista delle diverse imprese interessate, anche con toni divertiti: “Agli Stati generali organizzati da Conte – ha detto il ministro – ci siamo riuniti per la prima volta con vari manager pubblici e, devo dire, è stata una riunione ricca e densa”. Anzi, aggiunge, “devo dire che una riunione di quel tipo io non l’ho mai tenuta, è stata la prima volta tutti insieme”.
Gualtieri ha pronunciato le parole con la circospezione di chi sa che dietro l’angolo è subito pronta l’accusa di “statalista”. Però anche lui, così come i vari manager invitati – Alessandro Profumo di Leonardo, Matteo Del Fante di Poste, Valentina Bosetti di Terna, Francesco Caio di Saipem e anche un imprenditore privato come Sergio Dompé – hanno dovuto convenire che gestire un dibattito strategico in comune avendo a disposizione un patrimonio pubblico, è meglio.
La proposta del Fdd, del resto, è stata chiara: “Promuovere il confronto strategico fra le imprese pubbliche e condividere e rendere trasparenti missioni strategiche nell’energia, nel digitale, nella mobilità, in tutte le attività della frontiera tecnologica”. L’organismo civico, che si sta distinguendo come un centro di collegamento tra mondo istituzionale e realtà civiche, è andato anche oltre proponendo la “costituzione di un Consiglio degli Esperti in seno al ministero dell’Economia e delle Finanze”, composto da personalità competenti incaricate di seguire le imprese pubbliche. Qui Gualtieri si è tenuto più accorto, sempre attento a quell’accusa di statalismo che è pronta a essere impugnata anche dentro al governo.
Il dibattito si è potuto fare anche perché, dopo quarant’anni di ubriacatura liberista nel nome delle privatizzazioni, si scopre che le aziende pubbliche vanno bene e sono utili. In Italia, impiegano oltre 350.000 addetti, costituiscono più del 17% degli investimenti fissi delle imprese italiane e circa il 17% della loro spesa in ricerca e sviluppo”. Rappresentano circa il 29% della capitalizzazione complessiva della Borsa di Milano e operano in settori “di notevole interesse strategico, tra cui energia, trasporti, manifattura di sistemi ingegneristici complessi ad alto contenuto tecnologico, distribuzione”. Staccano un cospicuo numero di dividendi, 3 miliardi circa all’anno.
Il rapporto Fdd si è basato su interviste con i vertici delle imprese pubbliche ed è durata undici mesi avendo come bussola “liberare il potenziale complessivo delle imprese pubbliche che risulta ancora ampiamente inespresso”. Una proposta che ribadisce “autonomia” gestionale delle imprese proponendo, anche con il Consiglio degli Esperti, un coordinamento di tipo strategico.
I manager intervenuti si sono detti abbastanza favorevoli, ma in un convegno, peraltro a distanza e quindi in collegamento online, non è un impegno difficile da prendere. Interessante il punto di vista di Sergio Dompé, presidente e ad di Dompé Farmaceutici, secondo il quale “le imprese pubbliche possono concorrere a promuovere il meglio nelle imprese che operano con loro raggiungendo una capacità competitiva che da sole non raggiungono”. Il pubblico come volano di una filiera integrata, sia pure raccomandando prudenza, ma mostrando anche che l’impresa italiana non è tutta come la immagina il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi.