Fanno crescere il nostro Pil, fanno i lavori più pesanti e nocivi che i nostri lavoratori non vogliono più fare, accettano retribuzioni più basse, ci pagano le pensioni, accudiscono i nostri vecchi. Per non parlare di quelli che versano i contributi pensionistici per qualche anno, poi tornano al loro Paese e i loro versamenti rimangono nelle casse dell’Inps.
Sono a fondo perduto. Per loro, i poveri. Ma a fondo trovato gratis, per noi, i ricchi. Stando così le cose, perché non dovremmo accogliere i migranti che vogliono trasferirsi nel nostro Paese? L’accoglienza di cui si fanno sostenitori coloro che valutano in questa ottica le migrazioni è un’accoglienza interessata, che non si fonda sulla solidarietà, ma sullo sfruttamento dei più deboli da parte dei più forti. Se coloro che si propongono di ridurre le diseguaglianze tra gli esseri umani perché ritengono che siano per la maggior parte d’origine sociale, si riconoscono nella sinistra, mentre coloro che non si propongono di eliminarle perché le ritengono naturali, si riconoscono nella destra, i sostenitori dell’accoglienza interessata sono di destra, una destra moderata, anche quando dichiarano di essere di sinistra.
[…] Di fronte alla durezza di cuore dei governanti europei che si rimpallano l’un l’altro il compito di accogliere temporaneamente i migranti in attesa che vengano redistribuiti tra i loro Paesi, i sostenitori dell’accoglienza disinteressata denunciano all’opinione pubblica le sofferenze aggiuntive che questa scelta politica li costringe a patire e si mobilitano affinché vengano autorizzati a sbarcare al più presto.
L’accoglienza disinteressata dei migranti è una scelta motivata eticamente. Chi la sostiene si prefigge di attenuare le sofferenze che i popoli più poveri della terra patiscono a causa delle sopraffazioni esercitate nei loro confronti dai popoli più ricchi e potenti. Risponde alla pulsione alla giustizia insita nell’animo umano, rappresentata politicamente […] da una sinistra anticapitalista, con varie sfumature accomunate dall’idea che una maggiore equità tra gli esseri umani si possa conquistare soltanto con la lotta di classe degli sfruttati contro gli sfruttatori. E da una sinistra ispirata ai principi cristiani della fraternità. […]
I sostenitori dell’accoglienza disinteressata dei migranti, in genere non prendono in considerazione il fatto che dalla seconda metà del Settecento le migrazioni sono state e continuano a essere un’esigenza del modo di produzione industriale, ma tendono a considerare la decisione di emigrare una libera scelta effettuata per uscire dalla miseria e riuscire a nutrire regolarmente i propri figli. Per cui ritengono che chi ha a cuore l’equità e la giustizia non possa non dare il suo sostegno a chi la compie.
[…] Bisogna domandarsi se la scelta di migrare, pur essendo libera formalmente, lo sia anche realmente e non sia imposta dall’impossibilità di continuare a ricavare da vivere nel proprio Paese, perché è devastato da una guerra in corso, o è stato desertificato dai cambiamenti climatici, o una multinazionale straniera in combutta col governo s’è impadronita di ampie estensioni di terreni agricoli sottraendoli a chi ne ricavava la propria alimentazione. La vera solidarietà con chi è costretto a emigrare non si manifesta limitandosi a sostenere la sua libertà di farlo e la sua accoglienza sempre e comunque, ma anche, e soprattutto, impegnandosi politicamente a eliminare, o quantomeno a ridurre, le cause che lo costringono a farlo, a partire dalla riduzione, nel proprio Paese, dei consumi di risorse, delle emissioni climalteranti e delle emissioni inquinanti. Un convinto sostenitore della libertà di emigrare non può non essere anche un convinto sostenitore della libertà di non emigrare. Non può impegnarsi soltanto a sostenere chi vuole emigrare, senza impegnarsi altrettanto affinché vengano rimosse le cause che non consentono di continuare a vivere nella sua terra a chi vorrebbe continuare a farlo.
La causa delle migrazioni che connotano la storia del modo di produzione industriale è la finalizzazione dell’economia alla crescita della produzione di merci. È la crescita economica ad aver bisogno delle quantità crescenti di materie prime, energia e terreni agricoli che i Paesi ricchi sottraggono ai Paesi poveri, impoverendoli sempre di più e costringendo percentuali sempre maggiori dei loro popoli a emigrare. È la necessità di sostenere la crescita della produzione e del consumo di merci a indurre i Paesi ricchi a scatenare guerre per impadronirsi dei giacimenti di materie prime e di fonti fossili che si trovano nei territori dei Paesi poveri, a istigare le rivalità tra i popoli, le etnie e le confessioni religiose che li abitano, ad armare le fazioni, a organizzare colpi di Stato per rovesciare i regimi che ostacolano i loro disegni. Le maggiori quantità dei gas climalteranti che contribuiscono a desertificare superfici sempre più vaste dell’Africa, derivano dai consumi di fonti fossili su cui si fonda la crescita economica dei Paesi ricchi.
Sono le classi sociali dominanti dei Paesi ricchi a volere che aumenti anno dopo anno il numero dei contadini e degli artigiani che abbandonano l’economia di sussistenza nei Paesi poveri per diventare produttori/consumatori di merci nei Paesi ricchi. Sono gli intellettuali al servizio delle classi sociali dominanti a utilizzare potentissimi strumenti di persuasione di massa per diffondere la convinzione che il futuro, il benessere e il progresso sociale sono nelle città e nell’estensione della mercificazione a tutti gli aspetti della vita umana, a tutte le relazioni interpersonali, anche le più intime, perché tutte le forme di solidarietà, tutti gli scambi fondati sul dono e la reciprocità che caratterizzano le economie di sussistenza, consentono di acquistare meno merci e non fanno crescere i profitti. Se venisse a mancare l’apporto dei migranti, l’economia dei Paesi industrializzati entrerebbe in una crisi irreversibile. Solo i sostenitori dell’accoglienza interessata sembra che ne abbiano la percezione e in forma più o meno esplicita lanciano da tempo l’allarme.
Se si confonde la costrizione a emigrare, l’impossibilità di continuare a vivere dove si è nati, con la libertà o il diritto di emigrare, si cancella dal proprio orizzonte mentale la possibilità di contribuire a rimuovere le cause che costringono a emigrare. Anzi, si ritiene che agevolare le migrazioni sia non solo un dovere politico, ma anche morale, di chi si schiera dalla parte dei più deboli. Si carica di una valenza etica il sostegno a un processo funzionale alla crescita economica, che genera sofferenza, aumenta le disparità tra popoli poveri e popoli ricchi, aggrava la crisi ambientale. Non si potrebbe offrire un contributo migliore ai sostenitori dell’accoglienza interessata. Non si potrebbero aiutare più efficacemente a nascondere la sgradevole patina di approfittatori delle debolezze altrui che ricopre le loro parole.