Giorgia Meloni, si sa, è furba. Continua a dire che lei del fascismo non si occupa perché è troppo giovane, e ciò basterebbe a garantire che non è mai stata fascista. Ma non può foderarsi gli occhi di prosciutto o, se preferite, tenere i piedi in due staffe.
Ieri il suo partito ha pubblicato (e poi rimosso) la fotografia di un militante che faceva il saluto romano davanti a un banchetto per la raccolta firme nel centro di Parma. Contemporaneamente veniva divulgata l’immagine di un consigliere comunale friulano di FdI, Gabrio Vaccarin, con indosso la divisa da SS nazista e alle spalle il ritratto di Adolf Hitler. Per non parlare di Ignazio Larussa che proponeva di trasformare il 25 aprile in giornata nazionale di lutto per le vittime del Covid. E del presidente siciliano Nello Musumeci che fieramente proclama: “A nessun albero si può chiedere di rinnegare le sue radici”.
Giorgia Meloni deve prenderne atto: non si dà in natura un partito politico che sia contemporaneamente di destra democratica e fascista. Le due cose sono incompatibili perché il fascismo è una dottrina che nega la democrazia.
Quando, nel 2003, Gianfranco Fini dichiarò a Gerusalemme che “il fascismo è il male assoluto”, molti degli attuali dirigenti di Fratelli d’Italia, da Francesco Storace a Daniela Santanchè, lo presero a male parole. E irrisero la sua scelta di indossare una kippà a Yad Vashem, il sacrario della Shoah.
La formazione politica di cui Giorgia Meloni ha assunto la guida nel 2014, ripristinando la fiamma tricolore del Msi nel suo simbolo, nacque in diretta polemica con la svolta afascista che Fini aveva impresso a Alleanza Nazionale. I nostalgici del Duce tornarono ad assumervi ruoli di primo piano, sia a livello nazionale che nelle amministrazioni locali. L’esponente di FdI che lei stessa ha indicato come candidato del centrodestra nella regione Marche per le elezioni del settembre prossimo, Francesco Acquaroli, ha presenziato il 28 ottobre scorso a una cena celebrativa della marcia su Roma, sul cui invito comparivano un fascio littorio e lo stemma del suo partito. Potrei continuare con altri numerosi esempi.
Non solo in Italia, ma in tutto il mondo, il fascismo è una pianta infestante che si ramifica in forme nuove. Troppo facile liberarsi del problema con una scrollata di spalle sostenendo che si tratta di un fenomeno del passato. Nessuno è così stupido da pensare che ritornino le camicie nere di Mussolini, anche se, come dimostra da ultimo la divisa nazista esibita dal consigliere Vaccarin (non pensino di cavarsela dicendo che non ha la tessera del partito: lo hanno eletto loro) i nostalgici di quella pagina infame della storia nazionale pullulano ringalluzziti da troppa scandalosa indulgenza. Così come i sostenitori della “democrazia illiberale” che già vediamo in azione in Ungheria.
Giorgia Meloni pretende di mostrarsi donna moderna protesa alla guida di una destra di governo, ma intanto si avvale di una struttura di partito composta in larga misura di epigoni del passato che non passa. A essere benevoli, si potrebbe dire che li tollera. Anche se è più verosimile ritenere che faccia il doppio gioco: confidando sulla sua immagine di giovanile intraprendenza per nascondere sotto il tappeto qualcosa che somiglia più a brace ardente che a polvere.
Questo doppio gioco non può continuare a lungo. Il suo silenzio è sinonimo di complicità. Né può nascondersi dietro alla sua giovane età: 43 anni sono sufficienti per dire con parole chiare cosa pensa del fascismo e dei fascisti cui continua a dare spazio nel suo partito.