Capita di essere deferiti al Consiglio di disciplina dell’Ordine dei Giornalisti per aver violato la Carta di Treviso, il protocollo che tutela i minori nell’informazione. Di scoprirlo grazie a un post su Facebook della Lega. E, non bastasse, di apprendere che il minore di cui si sono violati i diritti è il proprio stesso figlio. È successo ieri a Selvaggia Lucarelli, in uno strascico dell’ormai noto confronto tra il suo Leon e Matteo Salvini al mercato del Portello, a Milano. “Lunedì mi scrive Alessandro Galimberti, il presidente dell’Ordine della Lombardia”, racconta. “Mi dice che i figli non sono un vessillo da esporre, e che ho dimenticato la Carta di Treviso. Il giorno dopo mi arriva uno screenshot di un post della Lega in cui si riprende un’agenzia appena uscita che annuncia il mio deferimento”.
Nel mirino dell’Ordine c’è il video, pubblicato sulla testata online Tpi, in cui Selvaggia chiede spiegazioni ai due agenti in borghese che hanno fermato e identificato il 15enne Leon, colpevole di essersi avvicinato al leghista e di avergli manifestato placidamente il proprio pensiero: “Volevo dirle che è molto razzista come persona”. Video in cui compare anche il giovane, ripreso nell’atto di fornire le proprie generalità (compresi data di nascita e indirizzo). E così Selvaggia avrebbe “reso possibile l’identificazione di suo figlio minorenne a mezzo stampa”, in spregio alla Carta di Treviso.
“Vorrei che l’Odg fosse stato così solerte anche quando Sallusti sul Giornale mi definiva ‘esperta di zoccolaggine’”, dice Selvaggia. “Due minuti dopo il litigio con Salvini, il volto di mio figlio era già in pasto a tutti i media nazionali, senza alcuna tutela nonostante sia minorenne. Avrei potuto far partire decine di querele, ma ho scelto di non farlo, perché è Leon che ha voluto essere lì. Se in quel momento gli agenti stavano chiedendo i dati sensibili a un 15enne, non vedo come possa essere mia responsabilità”.