L’offerta da 513 mila euro per la fornitura alla Regione Lombardia dei camici dell’azienda del cognato di Attilio Fontana ha in calce una firma. Ed è proprio quella di Andrea Dini, cognato del governatore lombardo oltre che proprietario e ad di Dama, la società di cui detiene il 10% Roberta, moglie di Fontana. La sua firma fa fuori in un colpo solo la versione propinata per un mese sul contratto concesso a Dama in affidamento diretto, poi trasformato in donazione. E dimostra che tutti quei camici all’inizio erano ben lontani dall’essere un dono. Eppure Fontana il 7 giugno, dopo le anticipazioni del Fatto sull’inchiesta di Report che ha svelato il caso, scriveva su Facebook che c’era “alla base la volontà di donare il materiale alla Lombardia”, mentre Dini dava la colpa a un fraintendimento dei suoi collaboratori, responsabili di aver trattato per errore la donazione come un normale contratto. Ma ora il Fatto è in grado di rivelare che nell’offerta di Dama da cui tutto è partito i prezzi dei prodotti erano in bella mostra. E sotto i prezzi, il timbro dell’azienda e una firma. Non un collaboratore, ma il “dott. Andrea Dini”. Un elemento inedito in una vicenda al vaglio della procura di Milano, che ha iscritto nel registro degli indagati per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente Dini e Filippo Bongiovanni, direttore generale di Aria, la centrale acquisti della Regione. Ieri la guardia di finanza si è presentata in Regione per acquisire i documenti relativi alla fornitura.
Altro che donazione. Nell’offerta inviata prima di Pasqua ad Aria, vengono proposti 7 mila set di camici, calzari e cuffie a 9 euro l’uno e 18 mila camici a 6 euro. Dini si dice inoltre disponibile alla “fornitura” di altro materiale: 50 mila set oppure 57 mila camici. “Sempre agli stessi prezzi. Tutto made in Italy”. Aria sceglie la seconda opzione e il 16 aprile emette un ordine per 7 mila set e 75 mila camici, per un valore totale di 513 mila euro.
Iniziano le consegne, tutte fatturate da Dama, finché il 20 maggio Dini invia un’email ad Aria annunciando la decisione di trasformare il contratto in una donazione. Ma solo per i camici già consegnati, visto che la fornitura del resto viene interrotta. L’email arriva dopo che da giorni Report ha iniziato a investigare sul caso. Quando l’inviato Giorgio Mottola citofona a Dini, lui sostiene che la commessa avrebbe dovuto essere sin da subito una donazione: “Non ero in azienda durante il Covid, chi se ne è occupato ha mal interpretato la cosa. Me ne sono accorto e ho immediatamente rettificato perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione”. Parole che ora vanno in fumo, di fronte alla sua firma sull’offerta.
L’offerta di Dini è indirizzata a Bongiovanni e fa riferimento alle “indicazioni” ricevute dall’assessore all’Ambiente Raffaele Cattaneo, sentito ieri come testimone insieme a Francesco Ferri, presidente di Aria. Perché Cattaneo fa da intermediario tra Dama e Aria? “Durante l’emergenza Cattaneo è stato in contatto con tutte le aziende che si sono offerte di riconvertire la propria produzione, affinché potessero produrre dispositivi di protezione individuale di qualità”, rispondono dall’assessorato ricordando che Cattaneo è stato a capo della task force per coordinare i fornitori. “I rapporti con le aziende per le fasi successive, come donazioni o forniture, sono invece stati gestiti da altri interlocutori”.
Altri interlocutori che ora dovrebbero rispondere a diversi quesiti. Per esempio sui 25 mila camici mai consegnati dopo che il contratto è diventato donazione. “Per quali motivi Aria non ha diffidato Dama a completare la fornitura? Perché non richiede il risarcimento danni per inadempimento contrattuale? La Regione non ritiene di segnalare Dama all’Anac?”, chiede in un’interrogazione il consigliere M5S Marco Fumagalli, che mette in dubbio anche la congruità del prezzo di 6 euro proposto da Dama: “Tra gli ordini di Aria c’è un acquisto di 44 mila camici su Amazon, a 1,6 euro l’uno”. Quattro volte in meno del prezzo del cognato di Fontana.