Tanto è stato concreto, Henri Cartier-Bresson (1908–2004), definito “l’occhio del secolo”, quanto resta inafferrabile il suo immenso, quasi pantagruelico, sguardo sul mondo, investigato grazie alla sua Leica1. “Sono ossessionato da una cosa sola, il piacere visivo”, diceva. Un’ossessione valsa l’ovunque di trent’anni di Novecento, in un viaggio mondiale in bianco e nero tra scene di strada, tragedie, quotidianità e soprattutto umanità.
In questo modo riapre oggi, dopo le calamità piombate su Venezia, l’inappuntabile Palazzo Grassi, con Henri Cartier-Bresson. Le Grand Jeu (insieme all’altra sorprendente mostra dell’egiziano Youssef Nabil) prorogate fino al 20 marzo 2021, prima di chiudere la struttura per sette mesi per un intervento di manutenzione straordinaria. Proprio per districarsi nell’enciclopedico immaginario di Bresson, la mostra, ideata da Matthieu Humery, mette a confronto lo sguardo di cinque autori, e in particolare sulla “Master Collection”, una selezione di 385 immagini che il fotografo stesso individuò come le più significative. In questo “grande gioco” prima le vediamo tutte in una sola parete, per poi scoprire la selezione di 50 scatti e il diverso allestimento progettato dai cinque prestigiosi curatori.
La prima scelta spetta al collezionista e Presidente di Palazzo Grassi, Francois Pinault, che raggela l’allestimento con cornici neutre per esaltare la parte bucolica e rilassata scattata da Bresson: i pic nic, le pause di riposo, le passeggiate, i ritratti, le scene di incontro e di gioia. Poi tocca alla fotografa Annie Leibovitz, che “diventa fotografa proprio dopo aver visto l’opera di Bresson”. La sua scelta è legata al rapporto con lui e ai ritratti, integrando scatti più conflittuali, scene di litigi, proteste e disgrazie. Lo scrittore Javier Cercas fa qualcosa di sorprendente: come se scrivesse un suo libro, mette in fila le foto di Bresson creando un racconto nel racconto. La sezione del regista Wim Wenders è la più scenografica: sale buie con in una teca la Leica 1, risalto degli scatti retroilluminati e un video di se stesso, girato durante la ponderata scelta. Il suo itinerario si conclude con quello che è forse lo scatto più anomalo di Bresson, un momento di corpi intrecciati scattato in Messico: laddove il suo sguardo è quasi sempre geometrico, qui è confuso, agitato, quasi “impressionista”. Infine Sylvie Aubenas, direttrice del dipartimento di Fotografia della Bibliothèque de France, mette a fuoco il rapporto che il fotografo ebbe con la pittura e la sua perizia della composizione. Una mostra che rivela cinque sguardi dentro un lungo viaggio individuale, per vedere Cartier-Bresson sotto un’altra luce.