Domenica scorsa, lo stesso giorno in cui Giuseppe Conte consegnava al Fatto il suo atto d’accusa contro Atlantia ed esprimeva la sua contrarietà a mantenere i Benetton fra i soci della futura società autostradale, un editoriale del Corriere della Sera a firma Ferruccio de Bortoli dipingeva un quadro assai pesante delle responsabilità della famiglia di Ponzano Veneto. “Ingombrante e spregiudicato” vi era definito il “vigilato”, cioè Aspi, che aveva esercitato una “vigilanza inefficiente” sulla rete autostradale dopo averla “per certi versi catturata”, cioè sottratta al ministero delle Infrastrutture cui spettava. Non basta. In conclusione de Bortoli ricordava che Aspi ha “per anni goduto di tariffe alte, fatto pochi investimenti (e per giunta con società controllate in house) e messo in pericolo l’incolumità pubblica”.
Ciò non di meno, l’editorialista del Corriere nega che la revoca della concessione o l’estromissione dei Benetton da Aspi siano oggi una soluzione necessaria e vantaggiosa. Ammetto di non avere competenza sufficiente per entrare nel merito delle scelte che il governo è chiamato, con grave ritardo, ad assumere. In aggiunta ai rilievi di de Bortoli, vale la pena di citare i tentativi di manomissione dei documenti messi in atto da manager della concessionaria e scoperti dalla magistratura dopo il crollo del ponte Morandi; nonché la buonuscita di 13 milioni liquidata (solo in parte) all’amministratore delegato uscente, Giovanni Castellucci.
In ogni caso, leggendo de Bortoli, viene da dire: alla buon’ora. Perché le critiche severe rivolte dal Corriere all’operato dei manager nominati dai Benetton giungono fuori tempo massimo. Ricordiamo bene quale fu l’atteggiamento dei grandi giornali dell’establishment nei giorni successivi alla tragedia. Invano, nei loro titoli, si sarebbe potuto rintracciare anche solo il nome degli azionisti di Aspi. Con eccesso di zelo, si cercò di coprirli benché tale reticenza finisse per alimentare deprecabili pulsioni di giustizia sommaria. Pesava, certo, il fatto che i Benetton erano parte del capitalismo di relazione insediato nelle proprietà dei giornali, che l’ad dell’editoriale Gedi sedeva anche nel cda di Atlantia (holding dei Benetton), e che questi ultimi erano ottimi inserzionisti pubblicitari. Ma quell’istinto di subalternità è stato alla base di un’informazione distorta che solo oggi trova parziale e tardiva riparazione.
Un’omertà, chiamiamola col suo nome, che ha influenzato anche i vertici del centrosinistra, restio ad ammettere che pur di convincere i Benetton a prendere in gestione le autostrade erano state concesse loro condizioni di favore esagerate. Mi soccorre, in proposito, l’ammissione di un importante dirigente del Pd, Goffredo Bettini, sempre sulle pagine del Corriere: “La sinistra nel passato (per fortuna non ora) è stata troppo subalterna e intimorita di fronte alle grandi imprese globali industriali e finanziarie. Abbiamo usato i guanti bianchi con i grandi poteri, considerando, invece, le piccole e medie imprese radicate nei territori come i primi responsabili dell’evasione. Questa impostazione va radicalmente rovesciata”.
Anche qui, meglio tardi che mai. Si potrebbe obiettare a Bettini che l’auspicato rovesciamento di impostazione non è riscontrabile nel recente prestito agevolato concesso a Fca Italia senza condizionalità sufficienti riguardo al suo impiego. È difficile liberarsi della soggezione esercitata per tanti anni dalle centrali del potere economico su una sinistra che cercava sostegno ai suoi governi, disposta per questo a chiudere un occhio sui vizi del capitalismo italiano. Il prezzo pagato è stato alto: la recisione di legami storici con il mondo del lavoro dipendente, e il conseguente dimezzamento del peso elettorale del Pd. Se una quota maggioritaria del voto operaio nel 2018 è andata alla Lega, lo si deve anche all’illusione sbagliata che solo un nazionalismo economico mascherato da propaganda antiborghese potesse ormai tutelarne gli interessi.
Ricordo con disagio i fischi rivolti ai dirigenti del Pd durante i funerali delle 43 vittime di Genova, mentre Salvini profanava il lutto con i suoi selfie. Continuo a trovare inaccettabile il linciaggio preventivo degli indagati, gli attacchi sgangherati a Oliviero Toscani (che ahimè, provocato, altrettanto sgangheratamente rispose), gli indici puntati contro le Sardine sol perché fotografate vicino a Luciano Benetton. Ma le tendenze forcaiole hanno trovato alimento nella pavidità con cui buona parte dell’informazione e del sistema politico sono venuti meno al dovere di prendere posizione con chiarezza sui guadagni facili e sulle inadempienze di Aspi. Il futuro del governo dipenderà in buona misura dal saper rimediare questa inadempienza.