Boston, 24 Settembre 1895. Una donna in tenuta sportiva, abbigliata alla mascolina con i calzoncini corti e i capelli raccolti in una treccia bassa, fa ritorno nella sua città in sella alla sua bici dopo tredici mesi di assenza. È la ventiquattrenne Annie Cohen Kopchovsky, nota come Annie Londonderry: la prima donna ad aver compiuto il giro del mondo in bicicletta. Ai molti cronisti accorsi per chiederle come stia e si senta, Annie risponde “I am a new woman”.
Per comprendere la sua risposta, e come mai questo primato superi dunque il rango, seppur meritevole, di record sportivo e diventi un accadimento epocale bisogna compiere un passo indietro lungo un anno e più. Siamo nel 1894: in un pub della città, come ce ne sono tanti a Boston, due uomini nell’intento di rendersi spiritosi al proprio tavolo di amici ridono rumorosamente della scommessa che il dottor Albert Reeder e il colonnello Albert Pope hanno lanciato: certi dell’impossibilità che accada, offrono una posta di 20.000 dollari alla donna che sarà capace di replicare la prodezza di Thomas Stevens, che quale anno prima, nel 1887, aveva portato a compimento il giro del mondo in biciclo in tre anni. Non si può, a questo intrigo, fare il torto di reputarlo una mera scommessa, una gradassata da smargiassi. E non soltanto perché alla fine del diciannovesimo secolo la bicicletta, e dunque il ciclismo, erano al culmine della loro popolarità imponendosi come moda quotidiana, ma perché l’ideale vittoriano della donna come di una madamina da sposalizio sforna-figli è già entrata in crisi. Quella sfida lanciata è, in effetti, lo scontro tra due mondi: le donne da qualche anno parlano di questione femminile, di parità, di suffragio universale. Il vecchio mondo a forma di uomo sta chiedendo loro: “Siete in grado di fare tutto quello che facciamo noi?”
Da quel tavolo, la voce della ricompensa arriva alle orecchie di Annie, fino ad allora digiuna di bicicletta (non sa andarci). Annie Cohen era lettone, nata a Riga nel 1870 ed emigrata da bambina con la famiglia negli Stati Uniti. Ebrea, appena maggiorenne, come tutte le ragazze dell’epoca si sposa e mette al mondo dei figli (tre). Il marito, dal quale aveva acquisito il cognome, si chiamava Max Kopchovsky ed era venditore ambulante di tessuti, ebreo ortodosso e appassionato dello studio della Torah. Ma a ventitré anni, dopo che i genitori Leib e Beatrice erano morti nel 1887, stanca di una vita difficile nella povera Spring Street, Annie vuol cambiare e si dice “perché no?”. Anzi, a dire il vero, si chiede: “Cos’ho io meno di un uomo?”.
Così, il 25 giugno 1894 alle 11 del mattino, è pronta. Vestita in perfetto stile vittoriano dell’epoca: lunga gonna nera, camicia avvitata, blazer e cappellino in paglia. Alla folla di 500 persone accorse spiega le condizioni: “Devo completare il giro del mondo in quindici mesi, ritornando con 5000 dollari e partendo solo con i vestiti che ho indosso. Non posso accettare alcunché gratuitamente da nessuno”. Annie trova immediatamente la prima sponsorizzazione di 100 dollari dall’azienda di acqua Londonderry per mettere una targa pubblicitaria sulla bici e utilizzare “Londonderry” (con cui poi divenne celebre) come cognome durante il viaggio. Anche nella vita, Annie si occupava della vendita di spazi pubblicitari per i quotidiani locali. Quel giorno, porta con sé una pistola dal manico di madreperla, un cambio, qualche libro di viaggio e delle cartine. Marito e prole a casa.
Giunta a Chicago, in capo a qualche mese, cambia bicicletta. Ottiene la sponsorizzazione per una leggerissima Sterling in avorio e oro, ma col telaio maschile. E allora, oplà, cambio d’abito: prima lunghi pantaloni neri a sbuffo, poi direttamente un completo maschile. C’è da rilevare che l’abbigliamento sportivo coinvolse le donne in una discussione sul modo di vestire: e in un tempo in cui di rado la popolazione muliebre sfidava i dettami della moda, la novità degli sport offrì un’occasione per ripensare all’abbigliamento femminile. Se solo pensiamo ai quadri di J.H. Fragognard o di G. Zocchi, alle pesanti gonne e corpetti che alla fine del Settecento inizio Ottocento che le donne indossavano per giocare al volano, andare sull’altalena, tirare ai birilli o con l’arco. Nel frattempo, Annie diviene una celebrità: tutti i giornali locali americani parlano di lei, e ovunque viene accolta con grande attesa (in mezzo ai molti applausi, anche più d’un fischio). Nonché manager di se stessa: vende spazi pubblicitari sulla superficie della sua bicicletta, fotografie che la ritraggono in sella, spille con il suo nome, va in giro portando su di sé cartelloni pubblicitari di aziende locali. Macinando chilometri, dormendo ora ospite, ora all’aperto, giunge a New York a novembre dove si imbarca direzione Le Havre, Francia. Da qui, Parigi, Marsiglia, e poi Alessandria d’Egitto, Israele, Yemen, Sri Lanka, Singapore, Vietnam, Cina, ogni volta recandosi nei consolati americani del posto per avere la prova di essere passata di lì. Annie, però, vuole diventare un mito e far fruttare la sua impresa: coinvolge la famosa giornalista Nellie Bly, le spedisce delle lettere-reportage che questa fa pubblicare sul New York World. Annie fantastica di sé, e racconta di assalti e inseguimenti cui scampa, di tigri che la attaccano, di pallottole schivate, di fratture guarite. I suoi racconti hanno così successo che, al ritorno, diventa inviata del giornale.
Annie Londonderry ha pedalato per 15.455 km in un viaggio totale di 41.841 km (non appena poteva, saliva su treno o navi) e il primo pomeriggio del 24 settembre del 1897 torna a casa. “I am a new woman”, così si autodefinisce al termine della sua avventura, e prosegue “se questo significa che posso fare tutto ciò che può fare un uomo”.