Chi ha vinto e chi ha perso tra i Benetton e lo Stato? La domanda è tranchant ma partiamo dai dati certi: 20 anni dopo esservi entrati – incassando una fortuna senza spendere un euro – i Benetton perderanno il controllo di Autostrade per l’Italia (Aspi); non sarà lo Stato a pagare per la loro uscita, niente rischio di mega indennizzi in caso di revoca della concessione; il controllo andrà alla pubblica Cassa depositi e prestiti. Il governo toglie così alla famiglia veneta la gestione dei 3 mila km della concessione. “Una pagina inedita della nostra storia. L’interesse pubblico ha avuto il sopravvento su un grumo consolidato di interessi privati”, ha detto il premier Giuseppe Conte. Resta però un grosso punto in sospeso: se Atlantia – la holding controllata dai Benetton, che a sua volta controlla Aspi – ci rimetterà pure economicamente, questo dipenderà dal prezzo che lo Stato pagherà per entrare in Autostrade. È il nodo più rilevante dell’accordo siglato ieri notte tra gli uomini del gruppo e il governo. L’intesa andrà travata – nel mentre resta la procedura di revoca – e richiederà tempo. Si divide in due parti: quella transattiva per chiudere la vicenda del Morandi, comprensiva della revisione della concessione; e quella sul nuovo assetto azionario. Partiamo dalla seconda.
I Benetton controllano Atlantia attraverso la loro holding “Edizione”, che ne ha il 30%. A sua volta Atlantia controlla l’88% di Autostrade (di fatto, i Benetton, indirettamente, hanno il 27% di Aspi), mentre il resto del capitale è dei soci Allianz e Silk Road.
Veniamo all’accordo. Per prima cosa Aspi varerà un aumento di capitale riservato alla Cdp, che la porterà ad avere il 33% di Autostrade diluendo la quota di Atlantia al 59%. Quest’ultima poi cederà un altro 22% a “investitori istituzionali graditi a Cdp” (casse previdenziali, Poste vita, fondi etc.). Alla fine di questo primo step – che dovrà concludersi entro settembre – Cdp e compagnia avranno il 55% di Autostrade, Atlantia il 37,3 e gli altri soci saranno scesi dal 12 al 7,7%. In questa fase, lo Stato coabiterà, ma in condizioni di comando, con Atlantia, cioè coi Benetton. Poi partirà la seconda fase, che richiederà tempo, forse un anno: Aspi subirà uno “spin off”. Il 37% in mano ad Atlantia sarà distribuito ai suoi soci, portando alla fine della giostra Edizione, cioè i Benetton, ad avere l’11% di Autostrade (e nessun consigliere in cda). Aspi sarà poi quotata in Borsa, permettendo così a tuti i soci di vendere le loro quote.
Questo schema consente alla Cdp di non liquidare con soldi pubblici i Benetton e di privare la famiglia di Ponzano Veneto della gestione di Autostrade. Quest’ultima non fallirà trascinando con sé – come succederebbe in caso di revoca – anche Atlantia visti i suoi 9 miliardi di debito garantiti dalla holding: un vero terremoto finanziario e il vero ostacolo al ritiro della concessione. Non è un caso se ieri la holding ha chiuso in Borsa con uno stellare +26%. Significa che i Benetton non ci perdono niente? Ovviamente no, ma quanto dipenderà appunto dalla cifra che Cdp spenderà per entrare in Aspi. Atlantia, per capirci, ha a bilancio l’88% di Aspi a 5,8 miliardi: questa è la cifra a cui deve vendere la sua quota. Se Cdp pagherà intorno ai 3 miliardi per il 33% di Aspi, di fatto Atlantia e i Benetton non avranno perdite. Sotto questa cifra, sì. Il negoziato tra la Cdp e Atlantia sarà quindi fondamentale (dovrà concludersi entro il 27 luglio).
Il valore di Aspi, però, sarà influenzato anche dall’accordo sulla parte transattiva. Atlantia ha accettato tutte le richieste del governo: 3,4 miliardi di indennizzo; nessuna modifica al decreto Milleproroghe che disattiva la maxi penale in caso di revoca; ritiro dei contenziosi; più controlli e sanzioni per gli inadempimenti; accettazione del sistema tariffario dell’Autorità dei Trasporti che ridurrà i pedaggi; più investimenti e manutenzioni. L’unica condizione non accettata è la manleva legale per lo Stato per l’enorme contenzioso giudiziario che Autostrade si trascinerà dietro. Tirate le somme, la concessione di Aspi, che finora è stata una miniera d’oro, sarà meno remunerativa. Quando pagherà, lo Stato deve ricordarsi anche questo.