Da ragazzi ci arrampicavamo sul masso più alto della scogliera. Erano giorni di luglio come questi, qui a Genova. Arrivati in cima, senza pensarci ci buttavamo nel vuoto. Saranno stati dieci metri di volo. Ma appena lasciata la roccia capivi che ormai ti eri tuffato, eri sospeso nell’aria. Non c’era verso di tornare indietro. Oggi mi sento così: mi sono candidato alle Regionali in Liguria, il salto è fatto.
Sono trent’anni che faccio il giornalista, non avrei potuto scegliere un altro lavoro. E nemmeno un altro giornale. Sono sempre stato convinto che il giornalista debba tracciare un limite invalicabile tra sé e il potere. Ho sempre cercato di coltivare la libertà e l’indipendenza dalla politica.
Ma allora, direte, ci sei cascato anche tu? Provo a raccontarvi. Nei mesi scorsi a Genova sono andati in tilt gli apparecchi per la radioterapia. I malati di cancro sono stati costretti a estenuanti pellegrinaggi in pullman per curarsi. Semplicemente perché non si era investito per comprare un apparecchio. Mentre la Regione ha speso un milione e mezzo per la pubblicità istituzionale. Quasi propaganda con soldi pubblici. Questa immagine, i malati stipati sul bus, mi è tornata in mente quando mi hanno offerto di candidarmi. Potevo dire di no, continuare a fare un lavoro che mi piace. Oppure tentare un’altra strada per cambiare le cose. È lo stesso pensiero che ho avuto di fronte all’emergenza Covid: a maggio la Liguria è stata la regione con il maggior numero di morti per abitanti. Un disastro che ha cause precise: la privatizzazione della sanità sul modello lombardo, l’abbandono della prevenzione e della medicina di base. Bisogna fare qualcosa, subito. E per sorte l’occasione è capitata a me.
Così, dopo vent’anni che scrivo inchieste contro la cementificazione, posso immaginare un piano di sviluppo a cemento zero che, però, punti risorse sul recupero e la riqualificazione delle periferie, dei borghi storici abbandonati. Ambiente e lavoro, insieme.
E i parchi naturali? Siamo l’unica regione che li ha tagliati, che ha bocciato l’istituzione del Parco Nazionale di Portofino, un gioiello che avrebbe portato 20 milioni di finanziamenti, centinaia di posti di lavoro.
In Liguria oggi si può avviare un esperimento e ritrovare il coraggio di pronunciare una parola: futuro. Si possono tenere fermi gli ideali, cercando di renderli concreti.
La Liguria – già in passato apripista in passaggi decisivi della vita italiana – può essere il luogo dove nasce un nuovo progetto politico di centrosinistra che non sia tenuto insieme da convenienza o disperazione. Ma da una visione condivisa del futuro. Forse proprio la Liguria può indicare la direzione a una maggioranza di governo in cerca di identità. Vinceremo? La partita è in salita. Ma le battaglie si fanno perché ci credi.
Bisognerà rimettere tutto in discussione. Capovolgere il senso delle parole di cui si è appropriato Salvini. La “sicurezza” non è di destra, perché sicurezza significa anche garanzia di assistenza sanitaria adeguata per tutti. Significa tutele per i lavoratori. Sicurezza è lotta all’emarginazione e diritto allo studio. Anche così si batte la delinquenza.
Nemmeno “l’identità” è di destra, perché la Liguria – ma il discorso vale per tutta l’Italia – non sono i tappeti rossi di cui è stata cosparsa la regione come fosse un circo. Identità è l’animo solidale di questa terra che non ha mai lasciato indietro gli ultimi.
Nemmeno l’economia, il favore per le imprese sono per forza di destra. Oggi ci si salva tutti o nessuno, lavoratori e imprenditori insieme. E il boom della green economy è un’occasione irripetibile per tenere insieme lavoro, impresa, ambiente e salute.
“Càndidati, dimostra che il centrosinistra può essere felice!”, mi ha detto un ragazzo in un bar dei caruggi. Ecco, questo: varcare i limiti del ruolo di giornalista e provare a vedere se, dopo aver criticato le malefatte degli altri, sapevamo davvero costruire una Liguria e un’Italia migliori. E per tutti.
Arrivederci ai colleghi del Fatto con cui ho condiviso un periodo unico. Non perdonatemi niente. Prendetemi a ceffoni se tradirò le promesse. E arrivederci ai lettori, senza di voi il nostro lavoro non esiste.