Io questo articolo non l’avrei mai voluto scrivere. Lo rimando – non immaginate da quanto – sperando che qualcuno dalle parti della sinistra si svegli e capisca che non è il caso. Che forse è il momento di richiamare l’esercito dei più attivi comunicatori social e di spiegare che non è con La Bestiolina che si sconfiggerà La Bestia. E per Bestiolina intendo quella macchina che controlla i trend del giorno, le notizie più utili alla propaganda di sinistra, uniforma la comunicazione sui social. Quello che fa la Bestia, insomma, ma dalla parte del Bene. E il Bene non esiste se non esiste il Male. La chiamo Bestiolina perché non ha l’aggressività de La Bestia salviniana e perché il suo fine ultimo è quello di provocare l’indignazione buona, di chi dedica un pensiero all’Aquarius, al sindaco razzista, a Salvini che suona citofoni, al post sessista, al giorno della memoria, al murales per la pace, alle meringhe e al profumo di lavanda nei cassetti della nonna. E sarebbe tutto giusto e bellissimo – per un po’ lo è anche stato – se non fosse che la narrazione è diventata stucchevole, oltre che chirurgica e furba come quella di Salvini. La Bestia e la Bestiolina hanno finito per diventare speculari. L’antisalvinismo ha impugnato le armi del salvinismo.
Basta farsi un giro sulle bacheche dei Lorenzo Tosa (ex candidato con +Europa), Fabrizio Delprete (ex collaboratore di un deputato di Sel), Emilio Mola (vicino alla Sinistra italiana), Leonardo Cecchi (cura la pagina social Pd), Cathy La Torre (prossima candidata sindaco di Bologna), per capire di cosa stiamo parlando. Sono loro, i titolari delle pagine più seguite e più uniformate a questa comunicazione: ne leggi una, le hai lette tutte. Sono identici i loro contenuti, ovvero post emozionali sul tema più in vista del giorno.
Sono identici gli incipit – sempre un “Io sono…” e segue nome di persona – perché su fb tira lo storytelling. O frasi secche, brevi, per acchiappare l’attenzione. Sono identici perfino l’utilizzo degli spazi nei post, della punteggiatura, il climax e le chiuse ad effetto, sempre colme di positività e speranza. Altra regola è cannibalizzare contenuti altrui a mani basse senza mai linkare nessuno. In pratica copiano e incollano un tuo post (o riassumono una notizia) e ci mettono sotto la tua firma (a volte la fonte), così like e condivisioni restano a loro e non a te.
I post pucciosi, fuffosi, petalosi dei citati Tosa, Mola, Delprete & C. sono talvolta coordinati in maniera comica: per dire, il 15 luglio postavano tutti il post epico sull’eroismo della sindaca di Lizzano che cazzia il prete omofobo (Mola lo posta alle 8,59. La Torre alle 9,04. Delprete alle 9,55. Tosa alle 10,06). Stesso linguaggio, stessa enfasi, stesso registro, anche perché Mola, per dire, è social media manager de La Torre, ma si dice che anche Delprete scriva per lei e che Tosa scriva per altri. Tutto mescolato in un calderone di accaparramento di emozioni facili, like, engagement.
Così accade che a leggerli tutti in fila si viene assaliti da uno strano disagio, quello che talvolta si prova allo stadio per il buzzurro seduto accanto, quello con la sciarpa dello stesso colore della tua. Si viene pervasi dall’imbarazzante sensazione di assistere al marketing dei buoni sentimenti nonché dal terrore di ritrovarsi un giorno, magari nella prima fase rem del sonno, quando l’inconscio straparla, a sognare Tosa che legge un suo post avvolto da un’aura celeste. E svegliarsi tutti sudati urlando la parola impronunciabile: buonismo!
Io non voglio fare questa fine. Non voglio diventare una brutta persona. Ma non mi sfugge che se Salvini punta allo stomaco, loro puntano al cuore. Se la Bestia è maieuta dell’odio, la Bestiolina lo è dell’ammmore. E c’è un tema di fondo: perché lo fanno? Cosa li motiva? L’idea di trasformare il mondo in un luogo migliore? Forse. A questo va aggiunto però un misto di ambizione personale e strategia marketing propria degli influencer. E che aspirino tutti a essere influencer è palese: Tosa pubblica classifiche di engagement vantandosi di essere la seconda pagina dopo quella di Salvini, La Torre ha social media manager (Mola) e perfino un consulente Instagram che segue brand di qualsiasi tipo, dal profumo alla crema viso. Delprete annuncia l’uscita del suo libro così: “Per ripercorrere gli ultimi anni di questa martoriata Repubblica ho deciso di fare un e-book con tutte le mie risposte ai sovranisti, Salvini in primis”. Un accennato autocompiacimento, insomma.
E poi la foga di arrivare primi sul post emozionale, come quella di Salvini quando c’è da mettere alla gogna un immigrato, che fa fare errori grossolani: “Guardate! Un ragazzo nero è stato fermato brutalmente dalla polizia perché non usava la mascherina!”, seguono aggettivi carichi di indignazione e hashtag del giorno #blacklivesmatter. Poi viene fuori che il nero stava molestando dei passeggeri e aveva un’arma bianca. Ma il post (di Delprete) resta lì. Non lo cancella. Come fa sempre Salvini, quando sbaglia.
Idem per un altro post, in cui lo stesso scrive che il tizio che arrostiva un gatto era un attore pagato 50 euro. Una fake news che non viene cancellata perché (chissà) serve a riabilitare l’immigrato come a Salvini servono le fake news per alimentare odio per gli immigrati. Speculari, dicevamo.
La vera questione è cosa porti tutto questo alla sinistra: di sicuro non voti, perché dietro quei post non c’è un pensiero politico e neppure un’emozione che vada a radicarsi. Non è l’odio della Bestia che si appiccica addosso. Sono le lacrime asciutte della Bestiolina, che dopo trenta secondi dalla lettura del post non ti ricordi neppure più per cosa ti sei commosso, se era per il migrante che ha fatto 700 chilometri a piedi o per l’ l’orfano siriano.
Ed è su questo che bisogna riflettere: per tornare a dire qualcosa di sinistra, anche sui social, non serve una Bestiolina che punti alle emozioni, ma, forse, avere dei progetti. Allora sì, che ci sarebbe molto da raccontare. E non servirebbero neppure i post emozionali. Ci commuoveremmo anche a computer spento.