“Chi ha vinto al vertice europeo?” è la domanda che affolla le prime pagine dei quotidiani di questi giorni. Un successo di Conte per alcuni, della Merkel per altri, dei “frugali” per altri ancora; un passo avanti verso l’Europa unita, anzi no, un segno degli egoismi nazionali; la fine dell’austerity per i più ottimisti, il trionfo della Trojka per i pessimisti.
Per provare a capire assieme se davvero possiamo festeggiare dopo l’accordo raggiunto dai capi di governo europei per una risposta congiunta alla crisi post-covid è bene partire da una constatazione: la partita non si gioca mai (solo) tra nazioni. Assieme all’interesse nazionale di diversi paesi membri, infatti, nelle grandi misure economiche bisogna considerare quali classi sociali, quali categorie, quali persone verranno favorite dalle scelte prese. Nel tracciare qualche linea di commento a NextGenerationEu (così è stato chiamato il piano che promette di risollevare l’Europa dalla depressione post-coronavirus) noi di Fridays non possiamo che assumere il punto di vista delle persone comuni, dei milioni di giovani di tutta Italia e tutta Europa preoccupati per le tre grandi crisi di questo momento: climatica, economica e sanitaria.
TAGLI
Tutti avevano promesso non se ne sarebbe più fatto uso, ma a Bruxelles sono tornate le forbici. Per mantenere intatto l’ammontare complessivo del fondo per la ripresa, i famosi 750 miliardi tra prestiti e trasferimenti a fondo perduto, l’Europa si prepara a tagliare su clima, sanità e ricerca. Meno 8,5 miliardi per Horizon Europe, fondo dedicato allo sviluppo scientifico; cancellati i 7,7 miliardi EU4Health, che sarebbe dovuto essere il primo esperimento di risposta comune alle emergenze sanitarie; saccheggiato, infine, il capitale originariamente destinato all’emergenza climatica: meno 20 miliardi per Just Recovery Fund e meno 24,7 miliardi per InvestEU. Scelte talmente paradossali che persino il solitamente sonnolento Parlamento Europeo annuncia battaglia. “Tagli pericolosi e ingiustificabili” si legge in una bozza di risoluzione circolata in queste ore.
Solo pochi mesi fa Ursula Von Der Leyen, presidentessa della Commissione Europea, annunciava l’European Green Deal, il piano per la transizione ecologica del continente presentato come “storico”. Già allora lo giudicammo – assieme agli esperti di tutta Europa – insufficiente, e dopo questi ulteriori passi indietro rischia di rimanerne poco o nulla. Doveva essere l’uomo sulla luna, finirà col lasciarci appiedati nel bel mezzo della crisi climatica.
AUSTERITÀ & CONDIZIONALITÀ
L’Europa non reagirà come nel 2008 – promettono politici di tutte le parti – imponendo sacrifici e austerità. Una previsione più che auspicabile, ma sulla quale restano pesanti incognite. Intanto, essendo NextGenerationEU composto per una buona parte da prestiti, è chiaro che aumenterà il debito pubblico degli Stati membri, e molti osservatori temono che, passata l’emergenza, torneranno le vecchie regole di Maastricht e del Fiscal Compact (momentaneamente sospese le seconde, in pieno regime le prime) e i governi saranno costretti a ridurre il deficit con le vecchie ricette: tagli al welfare, all’ambiente, alla lotta contro il riscaldamento globale.
Si apre inoltre il capitolo condizionalità. I piani di spesa dei Paesi membri dovranno passare il vaglio di Commissione e – in casi eccezionali – Consiglio UE, ma non è dato sapere in base a quali criteri. Si parla di un 30% delle spese destinate al clima, ma anche in questo caso mancano certezze e target precisi. Metanodotti e centrali a gas saranno considerati green come già successo in passato?
VISIONE
Era maggio e, nel piano della pandemia in Europa, un gruppo di economisti (tra cui il premio Nobel Joseph Stigliz) pubblicavano uno studio dagli esiti chiarissimi; la transizione ecologica è la strada più efficiente per evitare i più disastrosi effetti economici della depressione post-covid e, al contempo, nuove e più gravi crisi dovute alla crisi climatica. Rinnovabili, trasporto a basse emissioni, elettrificazione dei consumi sarebbero dovute essere – secondo gli economisti firmatari – le parole chiavi dei piani nazionali e comunitari di ripresa.
Con questo spirito, negli stessi giorni, Fridays For Future Italia lanciava Ritorno Al Futuro, una proposta di piano d’investimenti pubblici che si propone di risolvere assieme crisi climatica ed economica, di creare nuovi e ben pagati posti di lavoro e al contempo salvare il Pianeta e i suoi abitanti, noi compresi. Un progetto che ha parenti all’estero ma prima mai arrivato in Italia, e che ha visto la collaborazione di decine di esperti e le firme di Cgil, Greenpeace, Legambiente, Wwf, Stop-TTIP, Terra, delle associazioni studentesche e di tantissime altri sigle.
Di tutto questo, nel piano presentato dall’Europa, si trova poco e nulla.
Al di là dei proclami, nessun capo di Stato o funzionario comunitario sembra convinto che la lotta alla crisi climatica sia LA chiave per fronteggiare la depressione economica in cui rischiamo di entrare. Di più: nessuno dei partecipanti al vertice sembra davvero preoccupato degli effetti che l’emergenza climatica ha e avrà sul continente se si persevera nel non agire: desertificazione, eventi metereologici estremi, migrazioni di massa.
E L’ITALIA?
Se una parte importante della partita si gioca a Bruxelles, tutto il resto viene deciso a Roma. Dove e come il nostro Paese spenderà i soldi che verranno da NextGenerationEU è l’altra grande domanda che affolla i quotidiani di questi giorni.
Alcuni indizi li abbiamo, e non sono confortanti. Il PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) prevede di puntare massicciamente sul gas fossile invece che sulle rinnovabili, e il recente Decreto Semplificazioni rischia di favorire ulteriormente infrastrutture datate e inquinanti: TAV, TAP, dorsale adriatica, metanizzazione della Sardegna.
Qualche segnale opposto, a onor del vero, c’è: Ecobonus, Bonus Mobilità e Reddito Energetico sono – pur con mille limiti – provvedimenti meritori. Ma ancora parliamo di misure spot, non strutturali, timidissime. Con una piccola mano si interviene sul clima, e con un’altra – enorme – si danno incentivi ai combustibili fossili, si investe su centrali a gas, si prosegue sulla mobilità privata ed inquinante. Sarà questa l’occasione per cambiare le cose? Noi lo speriamo con tutte le nostre forze.
Il nostro punto di vista è quello delle persone comuni, dicevamo in apertura, del 99% che ha tutto da perdere da crisi climatica ed economica e tutto da guadagnare da un netto cambio di paradigma. Il vertice dei giorni scorsi ha sicuramente evitato alcune delle proposte più pericolose, ha sicuramente fatto un passo avanti rispetto alla scandalosa gestione della crisi del 2008. Ma ancora non si ha la sensazione che la lezione sia stata compresa, che il riscaldamento globale venga trattato con la serietà che merita, che l’interesse di lobby e potenti sia passato in secondo piano rispetto alla sopravvivenza delle persone comuni.
“Il clima è cambiato” ha detto il premier Giuseppe Conte, riferendosi all’atmosfera che si respirava all’interno delle stanze del potere a Bruxelles. Ma che il clima sia cambiato lo ripetono da anni scienziati e giovani, e nessuno sembra farci caso. Nemmeno il vertice europeo.
*Lorenzo Tecleme è studente di Scienze della Comunicazione presso l’Università di Bologna e attivista di Fridays For Future. Scrive di politica, ambiente ed attualità su diverse testate online.