Si fa fatica a stare dietro alla velocità di pensiero di Barbara Vargiu, figuriamoci a prendere appunti mentre parla. La nostra telefonata inizia con un “vogliamoci bene tra noi…”, dove quel “noi” significa un universo femminile troppo spesso intento a farsi la guerra anzi che a cercare, unito, il riscatto. Anzi, semplicemente il riconoscimento di un valore.
Barbara Vargiu è una delle fondatrici, nonché direttrice artistica, de “Le ragazze terribili”, un’impresa di sole donne nata a Sassari ben 32 anni fa. La settimana prossima, il 4 agosto, parte la dodicesima edizione del Festival Abbabula, che porterà sull’isola Samuel, Paolo Benvegnù, Max Collini, Lodo Guenzi, Erica Mou e tanti altri. “Il nostro fiore all’occhiello”, racconta Barbara.
Ci racconta la vostra storia?
All’inizio eravamo solo quattro amiche che amavano la musica e viaggiavano per l’Europa in Interrail, per andare a sentire concerti. Eravamo e siamo ancora molto legate, e questo ci ha permesso di rimanere le stesse nel tempo. Nel 2005 abbiamo fatto il grande passo, diventando una cooperativa e mettendo a frutto ciò che avevamo già realizzato. Da lì abbiamo imparato a confrontarci con il pubblico, a dare risposte al privato senza contare sempre sull’assistenzialismo, a differenziare le entrate. Non abbiamo mai fatto il passo più lungo della gamba, pur organizzando un appuntamento estivo che è diventato fondamentale per l’isola. Semplicemente abbiamo applicato la “regola della casalinga” (sorride): se i soldi non ce li hai, non li spendi. Oggi diamo da lavorare a una dipendente fissa e a una serie di collaboratori estivi. Ma vuole sapere qual è stata la ricetta per la formula magica?
Mi dica.
La solidarietà femminile, che si trasforma in perfetta conciliazione lavoro-famiglia. Abbiamo avuto sette gravidanze, se una di noi si ammala le altre non dicono nulla, ci diamo una mano a vicenda. C’è un sostegno, una rete.
E le sembra un’eccezione nel panorama professionale?
Spesso le donne si fanno la guerra, invece di supportarsi. Pensi agli uomini: quando si siedono intorno a un tavolo trovano sempre un accordo. Noi, invece, ci mettiamo in discussione, ci attacchiamo tra noi… È chiaro che poi veniamo giudicate come inadeguate. Dobbiamo cominciare noi stesse a lavorare su un modello positivo.
Lei mi sembra una persona ottimista. Possibile che non abbiate incontrato difficoltà nella vostra impresa?
Moltissime. Oggi si parla di “leoni da tastiera”, ma gli odiatori ci sono sempre stati. Noi venivamo viste con pregiudizio: eravamo rockettare, indossavamo il chiodo, non avevamo bisogno di passaggi in macchina, eravamo indipendenti dagli uomini. E così abbiamo trovato scritte contro di noi sui muri di Sassari, sul nostro orientamento sessuale, sui nostri fidanzati… Per anni ci hanno chiesto “siete ancora così terribili?”.
E voi?
Siamo andate avanti, abbiamo tenuto duro e ora i nostro marchio è un punto di riferimento nella scena musicale. Organizziamo eventi, festival e cerchiamo di promuovere le eccellenze femminili. Ma non è facile.
Perché?
Perché ce ne sono poche. Io non faccio ragionamenti di quote rosa, mi interessa la bravura. Ma è difficile trovare artiste, giornaliste, scrittrici, a parte i soliti nomi. Credo che molto dipenda dalla regressione culturale che il nostro Paese ha vissuto negli ultimi trent’anni. È da “Colpo grosso” (un programma televisivo andato in onda dall’87 al ’92, ndr) che prendiamo colpi…
Dopo la pandemia e il lockdown, piano piano stiamo ripartendo. Eppure lo spettacolo è uno dei settori che sono stati maggiormente penalizzati, non crede?
Credo ci sia stata, da parte del governo, una gestione schizofrenica rispetto alle riaperture. Qui in Sardegna stanno tornando i turisti, nei bar e nei ristoranti ci si può sedere vicini, ma i concerti no… ai concerti devi tenere la mascherina e lasciare due posti liberi. Che senso ha? Se in un’area che ospita mille persone ne puoi mettere solo trecento come sopravvivi? Eppure siamo un settore importante, che dà lavoro e produce reddito. Non so se non lo vogliono capire o se non gliene frega niente.