Il filosofo Antonio Banfi scrive nel 1935 a Antonia Pozzi “Signorina si calmi”. La poetessa gli aveva chiesto un giudizio sui suoi versi. Si calmi: chi l’avrebbe mai detto a Foscolo o a D’Annunzio? Ecco un aneddoto utile a raccontare l’eterna minorità cui sono state confinate le donne con i polpastrelli sulla macchina da scrivere. La giornalista Valeria Palumbo ha inteso svelare la storia della condizione femminile attingendo a una vasta bibliografia di scrittrici note e dimenticate ed è nato il volume edito da Laterza Non per me sola. Storia delle italiane attraverso i romanzi.
“Le donne amano i romanzi.” Col senno di poi una fortuna o una maledizione?
Una fortuna. I romanzi sono stati inventati perché a un certo punto il pubblico femminile si è allargato. Le figlie della classe media sono diventate lettrici accanite: perché avevano studiato e perché avevano tempo. Ed entrambe le cose hanno finito col rafforzare un’idea rivoluzionaria: si può avere un’altra vita. E può essere una vita scelta.
“L’amore è stato il confine dentro cui si è voluto limitare il mondo delle donne”. Paradigma ancora da rovesciare?
Paradigma cancellato da tempo. L’amore è stato un mito borghese. In realtà serviva a preparare il “carcere”, indirizzato al matrimonio e votato alla maternità. Siamo per fortuna da tempo poliamorose e nemmeno più molto convinte che regali la felicità, per quanto sui tempi brevi.
Violenza sulle donne. Il suo libro documenta che bisogna aspettare il 1975 con la Riforma del diritto di famiglia perché il nucleo familiare smetta di essere una monarchia assoluta affidata al padrone-padre-marito.
La violenza sulle donne è il fondamento della società patriarcale, cui fa comodo tenere le donne sotto la costante minaccia della “vergogna”. Finché si è ritenuto che una donna violentata fosse colpevole le donne sono state sotto scacco. La Chiesa ha fatto santa una povera bambina, Maria Goretti, sostenendo che si sia fatta uccidere piuttosto che perdere la ”purezza”.
L’età del malessere di Dacia Maraini, Penelope alla guerra di Oriana Fallaci, La ragazza di nome Giulio di Milena Milani… Più verità in questi testi che nelle eroine create da autori maschi come Emma Bovary o Anna Karenina?
Non parlerei di verità: si violenterebbe l’essenza stessa del romanzo. Direi che la voce delle donne arricchisce, e in modo plurale, le vie del racconto. Dire ”donne” è una trappola. Nessuna di noi è uguale a un’altra e quindi nemmeno una scrittrice racconta la verità sulle donne. Ma di certo ha parecchio materiale in più su cui scrivere. Anna Karenina resta uno straordinario personaggio, ma ovviamente io preferisco le protagoniste che non devono pagare con la morte la loro voglia di libertà.
Indagando sulla clausura lei evidenzia, anche grazie ai racconti di Caterina Percoto, come occorra diffidare dell’autenticità delle vocazioni religiose nel passato.
La Chiesa ha moltiplicato e moltiplica gli effetti della società patriarcale. E come potrebbe essere altrimenti visto che è guidata da uomini anziani che, nella migliore delle ipotesi, sono sessuofobi?
Parlando di moda, lei ricorda che ancora nel 1967 le studentesse non potevano entrare in pantaloni alla Cattolica di Milano. L’abbigliamento femminile, scrive, è sempre legato, condizionato e sottomesso allo sguardo maschile.
Verissimo. Ci siamo sempre vestite per lo sguardo altrui, che puniva, premiava, ammirava o disprezzava. In sintesi: non è più come una volta. Dopodiché trovo che tocchi a tutti vestirsi in modo rispettoso di sé e degli altri anche se evidentemente che cosa ciò significhi cambia in continuazione.
Spazzate via le fiabe di Cenerentola e Biancaneve, i media hanno finalmente proposto modelli come Pippi Calzelunghe, Masha, Mulan, Lara Croft… Pensa che il cambiamento passerà più attraverso le opere di intrattenimento che dalla legislazione?
Servono entrambi i processi. Io lo raccontai già nel libro Le figlie di Lilith (Odradek): i modelli proposti dalle dive del cinema hanno fatto di più a livello di massa di qualsiasi campagna progressista. Ma poi servono le leggi, ovvio.
La bibliografia che propone è vasta e per lo più di autrici pressoché ignote. Il rovesciamento del canone le sembra possibile visto e considerato che la critica resta saldamente appannaggio di studiosi uomini? E ancora: perché sostiene che Calvino sia stato forse il più misogino tra i grandi? Infine: che cosa deve verificarsi per riportare alla ribalta tutte le opere di queste autrici ingiustamente dimenticate?
Calvino aveva una madre meravigliosa, una delle pioniere dell’economia moderna, e non ha mai saputo riconoscerne la grandezza. Ha dato poco spazio alle scrittrici all’Einaudi. E nei suoi libri, magnifici, si fa un po’ fatica a ritrovare grandi personaggi femminili. Quanto al rovesciamento del canone ( io parlerei di allargamento e revisione) si può fare: basterebbe che professoresse e professori fossero più laici nei confronti di programmi scolastici che ancora hanno le radici tra Ottocento e fascismo.