In attesa che l’inchiesta giudiziaria sul presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana stabilisca eventuali responsabilità penali, allineiamo qui i fatti certi: solo fatti e date. Per farsi un’idea chiara su una storia complicata dalle dichiarazioni contrastanti dei protagonisti.
Marzo-aprile 2020. L’assessore Raffaele Cattaneo, che deve rifornire l’amministrazione regionale di camici, calzari e altri dispositivi di protezione per l’emergenza coronavirus, contatta svariati possibili fornitori, tra cui la Dama spa, azienda di Andrea Dini, cognato di Fontana, e (al 10%) della moglie di Fontana.
16 aprile 2020. Viene firmato il contratto in cui Dama Spa s’impegna a fornire alla Regione 75mila camici, al costo di 513mila euro.
15 maggio 2020. Un giornalista di Report, Giorgio Mottola, chiede a Dini della fornitura. È un affare in conflitto d’interessi. Dini risponde: “Effettivamente i miei, quando io non ero in azienda durante il Covid, hanno male interpretato la cosa, ma dopo ho immediatamente rettificato tutto”.
17 maggio 2020. Fontana chiede al cognato di rinunciare alla fornitura.
19 maggio 2020. Fontana ordina alla Unione Fiduciaria un bonifico urgente al cognato di 250 mila euro. Da attingere da un conto svizzero Ubs in cui sono custoditi i soldi “sbiancati” dalla voluntary disclosure con cui Fontana nel 2015 ha regolarizzato 5,3 milioni detenuti da due trust alle Bahamas aperti nel 1997 e nel 2005.
20 maggio 2020. Dini manda una email alla Regione in cui dice di rinunciare ai pagamenti, trasformando la fornitura in donazione. Non “dona” però i 25mila camici non ancora consegnati, che tenta invece di vendere a prezzo maggiorato a una azienda di Varese.
7 giugno 2020. Il Fatto Quotidiano, anticipando il programma Rai Report, racconta la storia dei camici richiesti dalla Regione all’azienda del cognato e della moglie di Fontana. Il presidente replica di non aver saputo del contratto al cognato e di non essere mai intervenuto nell’affare.
9 giugno 2020. La Guardia di finanza va in Regione ad acquisire documenti su questa vicenda, dopo che l’Ufficio antiriciclaggio della Unione Fiduciaria aveva segnalato il bonifico richiesto da Fontana, inviando una Sos (“segnalazione di operazione sospetta”) alla Banca d’Italia, che la gira anche alla Procura di Milano.
11 giugno 2020. Fontana contatta la Unione Fiduciaria a cui ordina di non eseguire più il pagamento al cognato (intanto già bloccato e segnalato dall’antiriciclaggio della fiduciaria).
25 luglio 2020. Il Corriere della Sera rivela l’esistenza del conto svizzero e dei trust alle Bahamas.
28 luglio 2020. Fontana dichiara a Repubblica: “I miei hanno sempre pagato le tasse, mio padre era dipendente della mutua, mia madre una super fifona, figurarsi evadere. Non so davvero dirle perché portassero fuori i loro risparmi. Comunque era un conto non operativo da decine di anni”. Domani rende pubblica la documentazione che lo smentisce: il conto è operativo e i soldi provengono da “violazioni fiscali commesse dal 2009 al 2013”.
La magistratura, con i tempi della giustizia, stabilirà se Fontana ha commesso i reati di turbativa d’asta e di frode in pubbliche forniture (per non aver preteso la consegna dei 25mila camici mancanti dei 75mila totali previsti dal contratto, mai sospeso). Intanto però è certo che ha mentito più volte ai cittadini. E non ha avvertito i suoi elettori dei soldi detenuti all’estero. Una persona perbene, in un Paese normale, non potrebbe far altro che dimettersi.