Con un sospiro, non con uno sparo: descriveremmo così, se è lecito violentare il celebre verso di T. S. Eliot, i toni usati da Regione Lombardia per suggerire al governo di chiudere la Val Seriana all’inizio di marzo: l’audio, pubblicato ieri dal CorSera, di una riunione del 4 marzo tra il ministro Speranza, il presidente Fontana e l’assessore Gallera ne è l’ulteriore conferma. La Giunta lombarda voleva soldi a fondo perduto per le imprese, quanto al lockdown “decidete voi”. Com’è noto, invece, la Regione incolpa il governo di non essersi mosso come a Codogno nonostante i suoi pressanti inviti, il governo risponde che la Giunta aveva i poteri per disporre da sola la chiusura: formalmente hanno ragione entrambi, ma gli accorati appelli per il lockdown di Fontana erano più timidi pigolii. Per apprezzare le novità, però, serve un breve riepilogo dei fatti.
Quando inizia l’epidemia di Covid nel Bergamasco? Ufficialmente il 23 febbraio, quando all’ospedale di Alzano Lombardo vengono scoperti i primi due positivi: entrambi vengono trasferiti a Bergamo e il piccolo ospedale della cittadina viene chiuso. Solo per poche ore, però: un grosso errore, seguito dai vari “Bergamo non si ferma” (Confindustria, il sindaco Gori, etc).
È il 25 febbraio quando il governo dichiara la chiusura totale dei 10 comuni del Lodigiano, mentre solo tra il 2 e il 3 marzo arriva a Palazzo Chigi un report dell’Istituto superiore di sanità sui contagi nei comuni di Alzano e Nembro. Richiesto di “un parere più approfondito”, il presidente Brusaferro risponde per iscritto giovedì 5 marzo a tarda sera e propone di estendere la zona rossa ai due paesi: il giorno prima, come detto, c’era stata la riunione rivelata dal Corriere e quello stesso 5 marzo arrivano in Val Seriana poliziotti e carabinieri pronti a chiudere tutto. Restano lì due giorni e non succede niente: l’8 marzo il governo dichiara l’intera Lombardia e altre 14 province “zona arancione”; l’11 marzo tutta Italia è zona arancione; solo il 22 marzo invece si decide di chiudere tutte le attività economiche non essenziali. Solo allora (anche) Bergamo s’è fermata.