Pasta al pomodoro, parmigiana di melanzane, trofie al pesto, risotto allo zafferano, panelle, carciofi alla romana, pizza, tagliatelle al tartufo bianco, tiramisù. In Italia la tradizione culinaria è sacra e vastissima. Ho citato solo alcuni dei piatti che ci rendono orgogliosi in tutto il mondo e, sorpresa, sono tutti piatti vegani o vegetariani. Stupiti? Confusi? Penso di sì. La dieta mediterranea è considerata dall’OMS come la migliore per la salute umana. Ma essa è molto più vicina a una dieta vegetariana e forse vegana che a una dieta occidentale. Infatti frutta e verdura fanno la parte del leone, seguiti da cereali e legumi, in minore quantità derivati animali come latte, formaggio e uova e infine carni bianche e pesce 1 volta a settimana. Carne rossa? Saltuariamente.
Facciamo un passo indietro: molte persone nel mondo e anche in Italia hanno scelto di essere vegetariani. Esistono varie gradazioni di intensità, dal veganesimo più stretto alla dieta latto-ovo-vegetariana che è quella più diffusa. Le motivazioni possono essere di natura religiosa, sanitaria, etica e ambientale. Il Buddismo, l’induismo e altre religioni ancora impongono restrizioni strette al consumo di animali, ma anche l’Islam, l’Ebraismo e Il Cristianesimo (il venerdì e durante la quaresima) pongono dei vincoli. Da un punto di vista sanitario il veganesimo rigoroso è una dieta che richiede integrazione vitaminica per quanto riguarda la vitamina B12 ma spesso anche di alcuni oligoelementi che hanno una ridotta biodisponibilità nei vegetali, come calcio, ferro e alcuni amminoacidi essenziali. La dieta vegetariana non presenta problemi di salute, sebbene in alcune condizioni delicate, come nelle donne incinta e o in allattamento, possa richiedere attenzioni particolari per evitare piccole carenze. Al contrario però presenta vantaggi di salute enormi rispetto ad una dieta occidentale con riduzione di depressione, malattie cardiovascolari, tumorali e molte altre.
La IARC ( l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) ha definito la carne rossa come probabilmente cancerogena e la carne rossa lavorata come certamente cancerogena, consigliandone un consumo moderato.
La carne rossa inoltre ha un ruolo proinfiammatorio per il cuore e chi ne mangia quotidianamente ha livelli di una proteina infiammatoria nel sangue e nelle urine anche 13 volte superiori a chi segue una dieta povera di proteine animali.
Infine ha fatto scalpore il ritorno dello scorbuto negli Stati Uniti. Questa malattia era nota come la malattia dei pirati che non potevano mangiare frutta e verdura fresca per mesi. Essa è dovuta ad una carenza di vitamina c e si presenta con scarsa capacità di guarire le ferite, caduta di denti e sanguinamento ed è sconcertante che vi siano persone o genitori che scelgano di non includere volontariamente nella propria dieta frutta e verdura per mesi!
Già questo ci pone davanti a un fatto: una riduzione drastica del consumo di carne e di derivati animali fa bene. Siamo liberi di scegliere per la nostra salute ma il consumo di proteine animali ha delle implicazioni etiche. Gli allevamenti animali intensivi sono di fatto delle fabbriche che mirano al profitto e non certo al benessere animale (e aggiungerei umano) e vi sono persone che ritengono la violenza sugli animali un argomento valido per non nutrirsene. Inoltre sono i paesi più ricchi e le persone di ceto più alto a consumare più carne, in particolare di qualità alta con impatto in termini di giustizia sociale.
Se questi argomenti non bastassero entra in gioco l’aspetto ambientale. La carne rossa in primo luogo, seguita dai suini, dal resto della carne bianca e dai derivati animali ha un impatto ambientale terrificante.
In primo luogo le emissioni climalteranti: il sistema produttivo zootecnico è colpevole del 14%(come i trasporti) delle emissioni di Co2, ma esiste un rapporto della FAO, che tiene conto anche degli altri gas climateranti, che alza la stima della Co2 equivalente fino al 50%. Infatti i bovini emettono grandi quantità di metano che ha un potere climalterante molto superiore alla Co2.
In tal senso, esiste uno studio che paragona le emissioni causate dal consumo di carne degli olandesi a quello delle loro auto. Ad esempio se gli olandesi non mangiassero carne per un giorno alla settimana ridurrebbero le emissioni dell’equivalente di 3 milioni di auto e se non lo facessero per 6 giorni alla settimana (come se seguissero una dieta mediterranea) la quantità di gas climalteranti non emessi equivarrebbe all’intero settore del traffico veicolare.
Inoltre gli allevamenti sono affamati di terreno agricolo. Per ragioni fisiche per un kg di manzo ci vogliono 10 kg di mangime. Per questo motivo il 90% della soia mondiale e il 70% del mais è destinato agli allevamenti. Questo significa che circa il 95% del terreno agricolo è destinato in modo diretto o indiretto al settore zootecnico e che per 1 kg di manzo ci vogliono in media 15 000 litri di acqua (contro i 200 di un kg di pomodori)
Il settore ittico invece presenta il fenomeno della pesca eccessiva con un vero e proprio svuotamento del mare e il pesce d’allevamento è forse il meno ecosostenibile in assoluto.
Negli ultimi 50 anni il consumo di carne mondiale è aumentato di 5 volte e secondo le previsioni della FAO non esistono abbastanza terre per una produzione sufficiente per tutti tra 30 anni. Non c’è bisogno di inorridire davanti a una bistecca: l’arrosto a Natale o la grigliata di Pasquetta sono un piacere e una piccola gioia ma una riduzione decisa del consumo di carne, in particolare rossa, e dei derivati animali in genere è una scelta che tutti dovremmo fare. Aiuta la nostra salute, l’ambiente e gli animali stessi. Meno hamburger e più pasta della nonna è uno slogan che potrebbe salvare il nostro pianeta.