In una lunga intervista con il Fatto Quotidiano, Vivienne Westwood racconta perché sostiene Julian Assange, come vede la Gran Bretagna dopo Brexit e il mondo dopo Covid. I suoi piani per il futuro? Un mondo in cui nessuno può possedere la terra.
È un’icona. Vivienne Westwood non ha mai smesso di sfidare un’establishment che non le piace e di cambiare il mondo attraverso la sua arte e il suo attivismo politico. Stilista top, che veste top model ed è stata insignita dell’Ordine dell’Impero Britannico dalla regina Elisabetta II, Westwood è allo stesso tempo un’autentica ribelle, che non teme di supportare idee e personaggi che disturbano l’establishment inglese e mondiale. Come Julian Assange. Sostenitrice della prima ora del fondatore di WikiLeaks, Westwood ha appena fatto notizia in tutto il mondo perché si è chiusa in un’enorme gabbia, nel cuore di Londra, vestita da canarino. Un gesto provocatorio per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale su un caso come quello di Julian Assange, che deciderà sulla libertà della stampa di rivelare crimini di guerra e torture. Il Fatto Quotidiano ha chiesto a Vivienne Westwood dei suoi piani: dal suo supporto ad Assange a come sarà Londra dopo la Brexit e il mondo dopo il Covid.
Abbiamo visto tutti le immagini di lei in una gigantesca gabbia, vestita da canarino. Non è imbarazzante che sia stata necessaria questa performance per vedere di nuovo il caso Assange nei media mondiali?
È stata una buona iniziativa e perfetta per me: adoro travestirmi. Ed è andata dritta al punto: un uomo innocente, chiuso in gabbia, che lotta in condizioni disperate per non finire in una cella di cemento negli Stati Uniti, in isolamento e dimenticato. Ho iniziato il mio discorso dicendo: “Sono Julian Assange, sono il canarino nella gabbia. Se io muoio all’interno della miniera di carbone a causa dei gas tossici, allora questo è il segnale per tutti gli altri che è tempo di scappare. Sono già quasi intossicato: la corruzione legale aggira il sistema. Sono al buio. Cerco di far scattare l’allarme, ma sette miliardi di persone non sanno cosa sta succedendo nel mondo. Julian Assange è un editore, ha creato WikiLeaks nel 2006, come sistema per proteggere i whistleblower. Ovviamente la rete per intrappolarlo è stata gettata presto. Fin dall’inizio, WikiLeaks ha esposto la corruzione nel mondo con una massiccia pubblicazione di documenti segreti nel pubblico interesse. Il video Collateral Murder è diventato virale. Pubblicare documenti sui crimini di guerra degli Stati Uniti non è illegale, è nel pubblico interesse. Julian Assange non va estradato. Le accuse gli sono state cucite addosso. L’atto di incriminazione consiste in 18 capi di imputazione che prevedono in tutto 175 anni in prigione. Ciascun capo di imputazione è formulato come un quiz con le caselle da barrare: sì o no. Colpevole di tutto, per esempio di aver ottenuto documenti con lo scopo di ottenerli. Sei colpevole perché sei colpevole. Questo è assurdo. Ogni editore fa quello che lui ha fatto. Scrivetelo (voi giornalisti, ndr)! E così potremmo avere un giudice (assegnato al caso, ndr) che non sia corrotto. L’anno scorso, un giudice federale americano ha sentenziato che WikiLeaks aveva il diritto di pubblicare documenti illegalmente acquisiti“. Salvare Julian Assange è come innescare una scintilla che apre uno squarcio nella corruzione politica ed economica mondiale, basata sullo sfruttamento della terra e del lavoro a favore dei ricchi.
Lei supporta da molti anni Julian Assange, WikiLeaks e Chelsea Manning. Dal momento in cui ha rivelato i crimini di guerra e le torture degli Stati Uniti, Assange non ha più conosciuto la libertà: ha già passato dieci anni da recluso e ora è in prigione e a rischio di rimanere per tutta la vita in una cella. È un prezzo insostenibilmente alto per uno che rivela crimini di guerra in società democratiche, eppure se ne parla a malapena. Perché tanta apatia pubblica?
È tutta una questione di cambiare il dibattito pubblico e le sue domande aiutano a farlo. L’economia capitalistica si basa sul debito e sugli sprechi: tutti sono preoccupati per i soldi. E ognuno per sé: la scala inizia con “faccio la fame” e finisce con il male senza volto, le grandi banche che fanno profitti sulle macerie. E l’opinione pubblica è annoiata e confusa dalla valanga di manipolazioni.
Quando lei ha iniziato il suo cammino professionale come stilista, negli anni ’70, i ribelli godevano di maggiore popolarità: oggi, invece, viviamo in un mondo di conformismo dilagante, consumismo e distrazione senza fine. Lei si sente ancora capace di coinvolgere le nuove generazioni nei dibattiti che considera cruciali?
Il capitalismo, il dollaro marcio, come lo chiamo io, è un’economia di guerra destinata a crollare: è all’origine del cambiamento climatico e della povertà. Le guerre vengono combattute per la terra e per il lavoro a basso costo. La povertà è una cosa positiva per il capitalismo, perché è fonte di lavoro a basso costo e di cibo per i paesi ricchi. Il mio progetto per cambiare il mondo è cambiare l’economia: lo chiamo No Man’s Land, ovvero nessuno deve possedere la terra: questo ci porterà a una distribuzione equa delle ricchezze. Bisogna salvare le foreste pluviali, l’oceano, fermare le guerre. Funzionerà, perché è popolare.
Lei è estremamente preoccupata per il cambiamento climatico; crede che, dopo questa crisi del Covid, assisteremo a cambiamenti radicali nel nostro approccio all’economia e all’ambiente?
Il Covid è un killer e il mondo si è dovuto improvvisamente fermare nella sua corsa a capofitto verso l’estinzione di massa. Noi tutti ci siamo resi conto che, fermandoci, la Terra può rigenerarsi. E ora ognuno di noi pensa: che vita faccio? C’è un altro modo di vivere? Bisogna scendere da quel tapis roulant che è la rincorsa al denaro. Il mondo al punto di svolta, creato dal Covid, è zeppo di migranti e gente che protesta contro la povertà e la mancanza di una casa, in un pianeta che non ci può sostenere. Se andiamo oltre il punto di non ritorno, non ce la potremo più fare. No Man’s Land è la risposta, il mio piano per cambiare l’economia.
Oltre al fondatore di WikiLeaks, c’è un’altra figura anti-establishment che lei ha supportato: Jeremy Corbyn. Ma l’Inghilterra è finita nelle mani di Boris Johnson. Dove pensa che andrà la Gran Bretagna con Johnson e con la Brexit?
Jeremy e io abbiamo tenuto entrambi un discorso durante una marcia per la Campagna contro il Disarmo Nucleare. È un uomo di alti principi, ma ha sacrificato i suoi principi e la sua popolarità per cercare di tenere insieme il suo partito: estrema sinistra ed estrema destra. Il primo errore che ha fatto è stato quello di appoggiare il deterrente nucleare del Regno Unito, il Trident. Boris non sta da nessuna parte, è un ciarlatano e un demonio le cui azioni sono tutte distruttive. È solo interessato a se stesso, come Trump e tutti gli altri. Noi riusciremo a far prevalere le nostre richieste di salvare il mondo attraverso la nostra credibilità (ci stiamo lavorando con le Ong) e la nostra popolarità. Dopo Brexit, Johnson è all’angolo, dipende dagli scambi commerciali con gli Usa ed è soggetto alla corruzione legale degli Stati Uniti. Julian Assange è importante perché è contro la guerra e rivela questa corruzione.
Lei è un’eminente artista e attivista, ma è anche una che vive nel mondo degli affari, dove il mercato detta le regole. Quali sono le lezioni più importanti che ha appreso nell’affrontare le tensioni di fondo tra business e attivismo?
Sono un’attivista e una stilista che ha iniziato con il punk, le due identità si potenziano a vicenda. La mia iniziativa più recente è stata una mostra d’arte su Julian Assange alla Serpentine Gallery di Hyde Park. Non ci sono tensioni tra le due cose, semplicemente non sono guidata dal mercato, io creo gli abiti che mi piacciono. Ed è così bello lavorare con Andreas Kronthaler, mio marito: la ragione per cui lo amo così tanto è che è bravissimo nella moda e di lui penso: sei così meraviglioso!.
Guardando avanti, ha un qualche progetto specifico per aiutare le persone non privilegiate, usando la sua arte e il suo attivismo?
L’obiettivo sono la libertà, l’uguaglianza, la fraternità. Il mio piano è cambiare l’economia. La libertà, per controllare le nostre vite. L’uguaglianza, per avere una distribuzione equa della ricchezza. La fraternità, per costruire una comunità e una cultura, invece che muoversi ognuno per sé sul tapis roulant della rincorsa ai soldi.