1923-2020

La notte della Repubblica in cui si è spento Zavoli

È morto a 96 anni l’intellettuale e politico. Geniale e generoso, in Senato teneva di più al ruolo di bibliotecario che a quello di presidente della Vigilanza Rai

6 Agosto 2020

Come molti italiani, ho incontrato la voce prima di incontrare Sergio Zavoli. L’ho incontrato, conosciuto e riconosciuto alla radio: allora era l’unica corda tesa, nel groviglio delle tante non spiegate o non conosciute che ci trovavamo davanti alla fine del liceo. La voce di Zavoli dava una strana fiducia, una comunicazione che non erano parole, ma suono: non era bella o brutta, era la voce di Zavoli e volevi ascoltarla. Allora ti accorgevi che non era uno speaker, ma un autore. E te ne accorgevi per una qualità rara nella comunicazione di massa a quel tempo. Non era banale, non usava stereotipi, non tentava battute. Raccontava. Era uno che “per mestiere” ti faceva attraversare i tanti rigagnoli, fiumiciattoli e torrenti delle cose sconosciute che accadevano.

Che mestiere era? Che mestiere è? Stiamo dicendo tutti che è morto un grande giornalista. Ho letto anche “un gigante del giornalismo” e vorrei chiarire in che senso dico che non è vero. Tanti di noi che sostavano sulla porta delle tre professioni dello scrivere e del parlare (per i giornali, per insegnare, per costruire storie e narrarle) avevano i loro nomi preferiti, scelti anche come modelli. Sergio Zavoli mi è sembrato subito fuori dalla classifica. Era la voce che portava la storia, non il contrario. E quella voce sostava con chi lo ascoltava, in una sorta di solidarietà con cui ti trovavi bene. Qui comincia la magia del suo successo professionale che non è in una categoria ma risiede, credo, in una strana, agile, abile, benevola vocazione di vivere insieme.

Quando ci siamo conosciuti (primi anni 50) è come se fosse un incontro fra tanti, prima e dopo, che poi sono durati per tutta la vita. Io lo conoscevo bene, lui (adesso c’era anche la persona, non solo la voce) era, sulla scena, un personaggio del tutto in linea con la voce: competente, gradevole e partecipe. In quest’ultima parola c’è forse una interpretazione utile. A Zavoli interessava l’altro, amico o incontro casuale. Non era una trovata, un espediente adatto a chi fa questo mestiere. Come sanno tutti quelli che gli hanno scritto lettere vere (cioè non pretesti per alimentare manie), Sergio Zavoli era davvero attratto dalla vita e dai fatti degli altri. La vita gli ha offerto occasioni grandissime, come le vicende del terrorismo. Ma lui, di fronte a queste vicende, è stato forse il solo a cercare il senso umano, non quello politico, di azioni crudeli e insensate.

Due episodi totalmente originali del suo straordinario uso di una capacità unica di comunicare sono il famoso Processo alla tappa (la re-invenzione televisiva del Giro d’Italia) e il documentario radiofonico sulle suore di clausura. Il primo sarebbe il sogno di qualunque bravo giornalista giovane ma, prima o dopo, non lo ha fatto nessuno. Il secondo è la prova di una persona festosamente amante della vita sociale e del cinema (grande amico di Fellini e Antonioni) ma con una sua riservata solitudine che andava a cercare e a esprimere negli altri, come un medico che è sempre in servizio.

Siamo stati in Senato insieme, in tempi difficili, e due cose ho notato: non parlava mai di se stesso e non parlava mai di politica di partito. La Rai continuava a essere “la sua ditta” (ne era stato anche presidente), ma il suo modo di “esercitare” era sempre lo stesso: dare un senso razionale, comprensibile, partecipabile alle cose. Per questo la cura dettagliata e appassionata della biblioteca del Senato, più della presidenza della Commissione di Vigilanza Rai, mostrava la sua vera, ininterrotta vocazione di persona che si cura di altre persone. Al Senato teneva più di tutto all’incarico di bibliotecario. Non c’è traccia che sia mai accaduto nella vita parlamentare, prima o dopo.

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