L’altra sera chiedo a Marco Minniti, che esprime (In Onda) una posizione equilibrata sugli sbarchi e una visione europea sul grande caos Mediterraneo, Libano compreso, come mai lui che è stato ministro dell’Interno (2016-2018), per la sua esperienza consultato a livello internazionale, come mai dunque egli non faccia parte della squadra del Pd nel governo giallorosso. “Un problema di distanziamento”, prova a scherzarci sopra. “Paganini non ripete”, aggiunge, con una punta di orgogliosa amarezza. Noi invece pensiamo che posizioni chiare e nette (e dunque esposte a critiche legittime e corrosive) come quelle di Minniti non si addicano all’odierno Pd. Che (anche e soprattutto) sui temi dell’immigrazione, dalla chiarezza e dalla nettezza volentieri rifugge preferendo inabissarsi là dove le acque delle scelte politiche si fanno più scure e insondabili. Difficile infatti orientarsi nella labirintite di un partito che, nel giugno 2019, saliva a bordo della Sea Watch3 di Carola Rackete, con una folta e agguerrita delegazione guidata dal capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, per stare a fianco dei 42 migranti bloccati da due settimane in mare aperto dai raus lanciati al Viminale da Matteo Salvini. Lo stesso Pd che a un anno da quei toccanti eventi, il 16 luglio scorso, vota in Parlamento i fondi per l’addestramento e l’appoggio di quella feroce milizia camuffata da Guardia costiera libica, responsabile giusto dodici giorni dopo dell’uccisione di tre migranti nel porto libico di Homs. Un voto non poco contestato tra i Democratici, e che Zingaretti così commenta su Facebook: “Il governo e i gruppi parlamentari, che certamente partono dagli stessi presupposti del Pd, hanno ritenuto nella loro responsabilità di interpretare al meglio idee e valori del Pd con la risoluzione approvata dalla maggioranza in Parlamento”. Un testo partorito da un amplesso tra Ponzio Pilato e Ionesco e che la dice lunga sulla confusione di una sinistra che, a novembre – mentre, assediato da Salvini, nella vigilia elettorale, Stefano Bonaccini cercava di non spaventare i moderati dell’Emilia-Romagna – tuonava: “Lo ius culturae e lo ius soli sono una scelta di campo del Pd” (sempre il segretario). E cosa dire dei decreti Sicurezza che a un anno preciso dalla catastrofe salviniana del Papeete, sono ancora lì come se l’ex capitano fosse ancora al governo? Perfetto ritratto dell’ipocrisia politica nel quale Minniti, non essendo ipocrita, non compare.
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