Presentatosi in tribunale per il verdetto, Dewayne Johnson portava ormai evidenti sul corpo i segni della malattia che lo aveva colpito. Dopo la sentenza, riassunse così il suo stato d’animo: “Ho vinto una causa storica, ma potrei non vivere tanto a lungo da ottenere quei soldi”. Nel 2014 a Dewayne Johnson, giardiniere californiano, viene diagnosticato un linfoma non-hodgkin, che l’uomo riconduce a un contatto diretto causato da un incidente sul lavoro con il pesticida RoundUp, a base di glifosato, prodotto dalla Monsanto. Dopo aver intrapreso una causa legale, nell’agosto 2018 la sentenza condanna per la prima volta la Monsanto a risarcire una vittima del RoundUp per 289 milioni di dollari (poi ridotti a 78 milioni).
Ma sul glifosato va avanti da anni una durissima battaglia che incrocia il mondo accademico e quello degli affari. Nel 2015 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca contro il Cancro (IARC) per la prima volta classifica il glifosato come genotossico, cancerogeno per gli animali e probabilmente cancerogeno per l’uomo, e l’OMS segue a ruota questa decisione. A quel punto la risposta dell’azienda non si fa attendere. Un’inchiesta di Le Monde del luglio 2017 svela come la Monsanto abbia finanziato studiosi apparentemente indipendenti perché mettessero il loro nome su studi che sostengono la non-tossicità del glifosato, senza correre il rischio di risultare sospetti. Negli Stati Uniti, inoltre, documenti riservati hanno dimostrato il coinvolgimento, insieme alla Monsanto, dell’EPA (l’Agenzia USA per la protezione dell’ambiente) nel fare ostruzionismo verso la pubblicazione di studi sul glifosato.
Ancora, nel 2017 l’Unione Europea deve decidere se rinnovare il permesso di utilizzo del glifosato all’interno dell’UE, ma lo scandalo riguarda il rapporto dell’EFSA (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare), che è accusata di aver copiato larghe parti del suo rapporto finale dal paper presentato dalla Monsanto come richiesta di rinnovo del permesso. Inoltre, uno dei laboratori coinvolti negli studi sul glifosato, il laboratorio LPT di Amburgo, è stato recentemente fermato per varie violazioni, come trattamento illegale di animali e falsificazione degli esiti dei test, con conseguenze potenzialmente devastanti. La Commissione Europea vota alla fine per un rinnovo più breve, di cinque anni, rimandando al 2022 la possibilità di accogliere il voto del Parlamento che si era espresso per il divieto. Il rinnovo passa anche grazie al voto decisivo della Germania, inizialmente astenuta. Il Süddeutsche Zeitung ha recentemente denunciato come tra gli studi utilizzati per dare il via libera ci siano quelli di Michael Schmitz, per vent’anni consulente del ministero dell’agricoltura tedesco e commissionato proprio dalla Monsanto per alcune ricerche su questo tema nel 2012.
Pochi mesi dopo, il RoundUp finisce proprio in Germania: a metà del 2018 la Bayer, colosso farmaceutico tedesco, acquista la Monsanto per una cifra intorno ai 66 miliardi di dollari. Nonostante il tentativo di lasciarsi il passato alle spalle, facendo sparire il marchio Monsanto dai pesticidi, la fusione non sembra rivelarsi un grande affare per la Bayer: una singola azione nel gennaio 2018 valeva 105 euro, mentre a marzo 2020 ha raggiunto il suo punto più basso arrivando a valerne 45, più che dimezzato. La paura di migliaia di azioni legali pendenti per la tossicità del glifosato spaventa gli investitori, e così si arriva alle notizie di questi giorni: la Bayer pagherà un risarcimento di 10,9 miliardi di dollari per patteggiare circa 90 mila delle 125 mila cause aperte contro il RoundUp. Una cifra monstre – un quarto del fatturato della Bayer, che si attesta intorno ai 43 miliardi – ma che serve a cercare di chiudere la faccenda: di quella somma, infatti, 1,25 miliardi sono destinati a coprire future cause legali.
Il rischio è che quella che sembra una batosta per l’azienda di Leverkusen sia invece un sacrificio necessario per insabbiare una vicenda che potrebbe raggiungere proporzioni ben più grandi. In aiuto alla Bayer, è arrivata pochi giorni fa un’altra sentenza: la Bayer non sarà obbligata a segnalare con un’etichetta sulla confezione i prodotti RoundUp come “potenzialmente cancerogeni”. Una sorta di tregua, quindi, si spera solo parziale. Contro Bayer-Monsanto rimangono ancora aperte infatti circa 30 mila cause legali che non hanno accettato il patteggiamento, e potrebbero infliggere alla multinazionale il colpo di grazia. Inoltre, si avvicina il termine del 2022 che dovrebbe sancire lo stop europeo al glifosato, che intanto è soggetto a restrizioni solo parziali in Italia (vietato in parchi e luoghi pubblici e nelle fasi di trebbiatura e preraccolta, ma non proibiti del tutto in agricoltura). L’unica sentenza storica davvero necessaria, però, deve ancora arrivare: la fine del glifosato e lo stop alle multinazionali che antepongono il profitto di pochi alla salute collettiva, devastando il pianeta e le forme di vita che lo abitano.