La disfida di Roma non è per tutti. Dopo l’annuncio di Virginia Raggi, che si dice pronta a correre per un secondo mandato, a centrosinistra e centrodestra la corsa per la conquista di Roma più che una battaglia entusiasmante, sembra un percorso pieno di ostacoli, con rischio caduta incorporato. E così, sia Pd sia Fratelli d’Italia (i due partiti che dovrebbero esprimere i principali sfidanti), rimandano la scelta a dopo le Regionali. “Un po’ presto”, la prima considerazione. Inappuntabile, da una parte, tradisce però una difficoltà dall’altra. Da FdI non si risparmiano la frecciata: “La Raggi dopo tutto è il sindaco uscente. Che altro doveva fare? D’altra parte, voleva fare il ministro e le hanno detto di no”.
Ma intanto il Pd un candidato spendibile non ce l’ha. Nicola Zingaretti continua a fare pressing su Enrico Letta e David Sassoli. Entrambi continuano a dire un no categorico. Tra le opzioni ci sarebbe pure Roberto Gualtieri, il quale pare abbia reagito male anche solo per essere comparso nella rosa. Poi, c’è l’ipotesi Roberto Morassut, che sarebbe disponibile solo senza primarie. Per ora, però, il Nazareno non sembra disposto ad incoronarlo.
E allora, in campo resta proprio l’ipotesi primarie. Come peraltro ha detto lo stesso Goffredo Bettini. A correre sarebbero già pronti la senatrice Monica Cirinnà, il presidente del Terzo Municipio, Giovanni Caudo e Tobia Zevi (diversi incarichi politici alle spalle, tra cui quello nello staff di Paolo Gentiloni), che la prossima settimana lancia un tour nelle piazze di Roma per discutere il futuro della città.
Va detto che se il candidato dem dovesse essere un nome non esattamente di richiamo, si darebbe il via a quello che al Nazareno è stato ribattezzato lo “schema Bettini”: mettere in campo un nome che non superi il primo turno. Che di fondo non è poco per aiutare la Raggi e cercare di perseguire l’idea dell’amalgama dem-M5s, pur senza fare accordi per la Capitale (ieri per esempio il vicesegretario dem Orlando ha parlato di accordo possibile nelle Marche, per le Regionali). Senza contare che al secondo turno l’elettore del Pd potrebbe convergere sulla Raggi.
Ma a questo punto, oltre al fatto che la sindaca è tutt’altro che amata dagli elettori dem della Capitale, giocano le scelte del centrodestra. Anche lì, le variabili sono molte. Esclusa una corsa di Giorgia Meloni, FdI resta il partito più forte a Roma. Ma per decidere come giocarsi la partita, si aspetta di capire cosa farà Zingaretti. Perché se entra al governo e dunque si vota anche per la Regione, “va in pezzi il sistema di potere del Pd e a quel punto noi per Roma possiamo candidare anche Jack lo Squartatore”, commenta un esponente di spicco del partito. Altrimenti, la cosa è più complessa e dunque serve un nome moderato, un centrista, che al ballottaggio prenda anche i voti del Pd. Per il primo schema, l’unico nome che si fa è quello di Fabio Rampelli. Comunque troppo estremista. Mentre il secondo è stato ribattezzato “schema Cattaneo”. Anche se lui – Flavio Cattaneo – non è intenzionato. In alternativa, si pensa a Antonio Tajani o Franco Frattini.
E Carlo Calenda? “Non mi candido. Non è fattibile: al ballottaggio servono i voti dei 5S, ai quali non posso puntare. Ma se il Pd sceglie una mezza figura, noi presenteremo qualcuno di peso”. Di certo, è tutto piuttosto prematuro. Ma vengono in mente le elezioni del 2016. Quando il Pd schierò Roberto Giachetti, non il più forte e neanche il più motivato, e il centrodestra Meloni, che puntava più alla campagna elettorale che alla guida di Roma.