“Sica transit gloria mundi”, fu il beffardo commento di Vincenzo De Luca, all’epoca leader dell’opposizione, alla nomina di “assessore regionale al nulla” dell’attuale nuovo acquisto di Matteo Renzi in Campania, pronto a correre in Italia Viva per le regionali e in sostegno a De Luca (che non è un omonimo, è sempre lui), Ernesto Sica da Pontecagnano Faiano, già sindaco, già pupillo di Ciriaco De Mita, organizzatore di spettacolari kermesse della Margherita alle quali accorreva Romano Prodi.
Il sarcasmo di De Luca risale al 2010. Sica era stato folgorato sulla via di Arcore. O meglio, di Porto Rotondo. Aveva aderito a Forza Italia dopo essere entrato nel giro delle feste estive in Sardegna di Silvio Berlusconi, introdotto da un grosso imprenditore di Battipaglia. La sua presenza in giunta sorprese tutti. Sica ottenne una delega leggera, l’Avvocatura. “Fosse per me tu non saresti qui” gli disse il governatore Stefano Caldoro. Voleva che si sapesse che aveva ingoiato un rospo e che quella nomina gli fu imposta da Berlusconi. Perché?
Una risposta potrebbe trovarsi in un verbale di Arcangelo Martino, atti dell’inchiesta sulle trame della P3. “Lui (Sica, ndr) diceva di avere “Berlusconi per le palle (…) perché era stato protagonista di avere fatto cadere il governo Prodi, attraverso la sua azione e attraverso un imprenditore di grande livello, un imprenditore che tratta l’attività dei centri commerciali e dei supermercati. Il nome non l’ha mai fatto”. Insomma, Sica si vantava, o millantava, di aver contribuito alla compravendita di senatori. In quella stessa inchiesta venne fuori la storia del dossieraggio orchestrato da Sica e Cosentino per diffamare Stefano Caldoro, un plico di cartacce sui suoi (inesistenti) incontri omosessuali in alberghi a ore ad Agnano. Quel dossier fu l’arma con cui la P3 provò ad abbattere la candidatura di Caldoro, l’uomo designato da B. per la Campania, e rimettere in pista Cosentino, all’epoca sottosegretario di Berlusconi, caduto in disgrazia per un’ordinanza di custodia cautelare per camorra.
Sica a un certo punto sognò il colpaccio: forse pensò che se per Cosentino ormai non c’era più nulla da fare – la Cassazione ne confermò l’arresto – con quel dossier avrebbe potuto convincere il Cavaliere a fare a meno anche di Caldoro e candidare lui. Ma dovette ripiegare su un modesto assessorato. Che durò poco, molto poco.
Quando l’indagine P3 divenne pubblica, Caldoro diede a Sica 24ore per dimettersi. Eppoi c’è stato un processo a Roma, che si è concluso con le condanne in primo grado di Cosentino e Sica, che nel frattempo con una lettera toccante ha chiesto scusa a Caldoro, ottenendone il perdono giudiziario, umano e politico. Caldoro si è accontentato di un risarcimento simbolico di un euro e ora che riprova a candidarsi a Presidente lo avrebbe anche ospitato in coalizione, senza problemi. Sica infatti avrebbe voluto scendere in campo con la Lega. Ma l’amore con Salvini sbocciato l’anno scorso è sfiorito. Alcuni rumors lo davano in Forza Italia o Fdi. Ma Sica è tornato da dove era partito: nel centrosinistra. “Ero e resto un democristiano”, ha spiegato al Mattino. Tanti anni fa con De Mita. Ora con Renzi. E con De Luca che già aveva sostenuto nel 2015. Da sindaco di Pontecagnano, eletto con un simbolo Pdl fake ‘Azzurri per Pontecagnano’: Caldoro aveva posto un veto sull’utilizzo del logo ufficiale. Non l’aveva ancora perdonato.