In pieno lockdown c’erano i cosiddetti “eroi” che, a grande richiesta delle aziende, hanno continuato a lavorare e permesso al Paese di restare a galla. Nella sanità, nell’industria alimentare, per le strade e nelle fabbriche. Oggi invece, ci sono milioni di lavoratori che fanno una grossa fatica a ottenere il rinnovo del contratto collettivo scaduto e un piccolo aumento di stipendio. Sono le stesse persone di prima, solo che nel giro di pochi mesi sono passati da “eroi” a gente che deve ringraziare se prende uno stipendio.
La lotta per aggiornare i contratti interessa dieci milioni di addetti. I sindacati l’hanno messa in cima all’agenda del rientro dalle ferie. Alla finestra c’è chi opera nei settori definiti essenziali a marzo e aprile, quando a tutti era imposto di restare a casa. Ecco perché ci si aspettavano meno resistenze a concedere il ritocco all’insù in busta paga.
Molti dei 400mila addetti dell’agroalimentare sono in sciopero da ieri. A fine luglio, Flai Cgil, Fai Cisl e Uila hanno convinto solo tre associazioni di imprese su tredici a rinnovare il contratto: le altre, su volontà della Federalmentare – quindi Confindustria – si sono tirate fuori da un accordo che riconosce 149 euro (lordi) in più al mese. “Insostenibile”, per i vertici della categoria. Non solo: per Confindustria, quel contratto non rispetterebbe il “patto di fabbrica”; il segretario Flai Giovanni Mininni si dice pronto a dimostrare il contrario. Difficile calcolare quanti potranno avere l’aumento da gennaio. Hanno firmato Unionfood, Assobirra e Ancit: la prima, cui appartengono Ferrero e Barilla, copre 65mila persone; la seconda 140mila – cifra che contiene però l’indotto – la terza qualche migliaio. Elena Venucci lavora il pomodoro nello stabilimento Petti di Venturina, dove è rappresentante Uila: “Ci sentiamo lavoratori di serie B. Siamo tutti stati attivi in un periodo molto sacrificante, non si capisce perché qualcuno debba avere l’aumento e altri no”. Marco Parisi è delegato Flai alla Levoni: “Siamo stati considerati angeli, un gradino sotto i medici. Le richieste sindacali non erano così spaventose per le aziende. Non vedo come Federalimentare possa opporsi”. Nemmeno il colosso Coca Cola, socio di Assobibe, riconoscerà l’aumento ai suoi 1.900 dipendenti: “Da noi – spiega Alessandra Montani, anche lei rappresentante Flai – si è fermata solo la parte commerciale e solo per un mese. Gli altri sempre operativi”.
Ritardo record per i 100mila lavoratori della sanità privata: contratto scaduto dodici anni fa. A giugno era stata raggiunta una pre-intesa su 154 euro in più, poi è saltato tutto per il veto delle imprese. Il pretesto è che mancano garanzie sul contributo delle Regioni.
Le trattative per i metalmeccanici, Ccnl scaduto a fine 2019, si svolgono al Cnel. Tante industrie italiane, pur se non inserite nell’elenco delle essenziali, hanno continuato a operare in piena emergenza Covid “per salvare le esportazioni”, dicevano i datori. Fiom, Fim e Uilm vogliono l’8% in più sullo stipendio. Federmeccanica finora non si è sbilanciata, ma i riferimenti al difficile scenario che abbiamo davanti generano pessimismo.
Scarse prospettive anche per i 150mila lavoratori del legno. Secondo Federlegno, le richieste dei sindacati “non tengono conto del periodo storico derivante dalla pandemia”.
Chi non deve rinnovare ma deve firmare il primo contratto della storia sono i rider. Nunzia Catalfo ha convocato al ministero sindacati e Assodelivery, che riunisce i big delle consegne a domicilio. La ministra proporrà un lodo, ma sarà difficile farlo accettare a imprese che finora hanno imposto “flessibilità” – cioè i pagamenti a cottimo – e hanno a disposizione un sindacato pronto ad accontentarle (l’Ugl). Se già le imprese rimaste attive durante il lockdown non fanno concessioni, figuriamoci quelle della moda che sembrano essere tra le più colpite dalle chiusure. I sindacati hanno messo sul tavolo un incremento di 115 euro; Sistema Moda Italia ha lasciato intendere che non se ne parla.