Quattordici lo frequentano da più di vent’anni. Pier Ferdinando Casini, il recordman in materia, ci ha messo piede per la prima volta il 12 luglio 1983. Altri ancora sono eletti, ma a votare in Aula vanno una volta su cento (e non per modo di dire). Tra le 945 storie che il Parlamento offre a ogni legislatura, anche questa volta non ne mancano di curiose, soprattutto perché l’alto numero di deputati e senatori difficilmente consente un controllo quotidiano sulla loro attività. Motivo per cui un taglio degli eletti, più che la deriva autoritaria paventata dal fronte del No al referendum potrebbe invece essere occasione per un utile snellimento. Basta guardare alcuni dati per scoprire come gran parte degli eletti passi il tempo altrove più che in Parlamento, come hanno notato anche Tito Boeri e Roberto Perotti su Repubblica: “Nella passata legislatura il 40% dei deputati e il 30% dei senatori ha disertato più di un terzo delle votazioni; l’attività legislativa si è concentrata su poco più del 10% dei parlamentari che hanno sommato tra loro più di un incarico, mentre due terzi non hanno ricoperto alcun ruolo”.
Chi l’ha visti? In fuga dalle Camere
I dati diffusi da OpenParlamento sulle presenze in Aula di deputati e senatori sono allarmanti. Le percentuali sono calcolate non sulle sedute, ma sul totale delle votazioni svolte da inizio legislatura. Alla Camera il primato tra gli assenteisti spetta a Michela Vittoria Brambilla (Forza Italia), che dal 2018 ha partecipato soltanto a 78 votazioni su 6.304. Risultato: il tasso di assenze è del 98,76%. Ci si avvicina Antonio Angelucci, dominus della sanità privata laziale che supera il 94%di assenze a Montecitorio. Più distante Vittorio Sgarbi, tornato in Parlamento dopo 12 anni ma senza far troppo l’abitudine all’Aula: OpenParlamento riporta un 79,52% di assenze alle votazioni. A Palazzo Madama le cose non vanno meglio. Senatori a vita a parte, la percentuale di assenze più alta ce l’ha Tommaso Cerno, eletto col Pd e di recente passato al Misto, mancato all’84,31% dei voti. Segue il forzista Niccolò Ghedini, il fedelissimo avvocato di Silvio Berlusconi assente nel 69% delle sedute analizzate.
Altro da fare Più poltrone per tutti
D’altra parte, lo si è accennato, il tempo per fare il parlamentare è un lusso che non tutti hanno a disposizione. È ancora OpenPolis ad aver realizzato un’indagine sugli incarichi privati di ogni eletto, scoprendo che la maggior parte dei deputati e dei senatori, al momento dell’elezione, aveva un ruolo nel board di almeno un’azienda. Anche qui si arriva a casi estremi, come quello di Guido Della Frera, deputato di FI alla prima legislatura: al marzo 2018, quando è diventato parlamentare, Della Frera aveva 21 incarichi in aziende, oltre a partecipazioni in 8 imprese. Su tutte c’è il Gdf Group, holding attiva nell’immobiliare e nel settore alberghiero.
Notevoli anche i 16 incarichi censiti per Daniela Santanché, senatrice berlusconiana socia e presidente di Visibilia Editore, oltreché di imprese dell’edilizia e di prodotti bio. Poco sotto, nella classifica dei più attivi nelle imprese, c’è un altro forzista, il deputato Maurizio Carrara, con interessi nel manufatturiero e nell’immobiliare che al momento dell’elezione risultava consigliere di ben 14 società.
Trai più attivi negli altri partiti ci sono poi i leghisti Massimo Bitonci e Giulio Centemero (11 incarichi a testa), il 5 Stelle Michele Gubitosa (otto incarichi) e alcuni giallorosa dagli interessi ingombranti, come Andrea Marcucci (sette incarichi, tra cui quello del colosso farmaceutico Kedrion) e Matteo Colaninno (Italia Viva), presente in sette imprese e soprattutto nel gioiello di famiglia Immsi (nautica, meccanica e alberghi).
Tasso zero Leggi, mozioni e altre fatiche
Per capire quanto un parlamentare lavori i numeri non bastano. Possono però aiutare a farsene un’idea. Durante la scorsa legislatura OpenParlamento aveva elaborato un “indice di produttività” calcolato sulla base delle proposte di legge presentate, delle presenze, degli interventi e così via. Un metodo non scientifico – e la fondazione sta lavorando per migliorarlo, tanto che i dati su questa legislatura non sono disponibili – ma utile a far emergere storture.
Spulciando tra i dati aggiornati al 2018, si scopre che molti dei parlamentari con indice più basso sono stati rieletti. È il caso di Gianfranco Rotondi: chiuse la scorsa legislatura al 619 esimo posto tra i deputati più produttivi, con un indice di 29,33 ben lontano dalla primatista alla Camera, la dem Donatella Ferranti (1.752), ma anche dalla media degli eletti, che si assestava a 213.
Peggio avevano fatto il deputato leghista Carmelo Lo Monte (620esimo), con un indice di 26,8 nonostante il suo partito fosse il più attivo (media oltre i 400), e il forzista Alfredo Messina al Senato (305esimo; 26,63). Nulla però in confronto a Antonio Angelucci e Niccolò Ghedini, uno a Montecitorio e l’altro a Palazzo Madama: il primo, 623esimo per produttività, fermo a 0,78; il secondo, 311esimo su 315, a 0,94. A ogni modo non si tratta di casi isolati, se si pensa che il 90% dei gruppi alla Camera e l’83,33% di quelli al Senato ha la maggior parte dei membri che produce meno della media. A dimostrazione che in molti sono già esclusi, di fatto, dall’attività del Parlamento.