Senza insistere troppo sui “poteri forti” non possiamo non constatare che, mentre i sondaggi danno il Sì al prossimo referendum del 20 settembre, anche all’82% (Ilvo Diamanti su Repubblica), tutti i giornali con dietro gli editori più rilevanti la pensano allo stesso modo e sono schierati per il No. “Un unico grande giornale”, diceva Nanni Moretti nel film Aprile, scena memorabile di grande attualità.
Il No di Molinari. Il giornale di peso più nettamente schierato contro il taglio dei parlamentari è Repubblica, ormai della famiglia Agnelli. Lo scorso 20 agosto, il direttore Maurizio Molinari ne spiega la vera ragione: “Una vittoria del Sì gonfierebbe dunque le vele dei populisti in un momento in cui sono in difficoltà”. Scelta tutta politica, quindi, al di là del vero merito.
A ruota la Stampa. Segue il 23 agosto l’altro gioiello di casa Agnelli, la prestigiosa Stampa. Il direttore Massimo Giannini se la prende con la mancanza di correttivi al taglio dei parlamentari e parla di “deriva confusionaria” dicendosi costretto, a malincuore, “a scrivere un altro ‘no’”.
La casta dell’Espresso. Con l’Huffington Post la scuderia Agnelli schiera tutto il repertorio per il No, ma è l’Espresso che riesce ad argomentare l’inverosimile: “Il 97 per cento dei parlamentari che hanno votato per il taglio alla Camera sono il Sistema che si piega a farsi guidare dall’ex partito Antisistema che ora non vuole più cambiare nulla ma soltanto sostituire”. Quindi, il partito che ha il più alto numero di parlamentari vota per tagliarli, quindi per tagliare se stesso e, allora, proprio per questo diventa “il Sistema”. Logico, no?
Domani è un altro referendum. Non più editore di Repubblica, ma fondatore del Domani, Carlo De Benedetti si fa rappresentare dal neo-direttore del quotidiano, Stefano Feltri. Il No viene rigettato sia perché “l’argomento dei costi, è privo di senso”, sia soprattutto perché i sostenitori del Sì non hanno dimostrato esaurientemente che un Parlamento più piccolo sia più funzionale.
Il no di destra. Dopo la presa di posizione di Berlusconi che, pur lasciando libertà di scelta, ha fatto capire che preferisce il No, il Giornale si è schierato con nettezza, ma anche Vittorio Feltri, direttore di Libero, quotidiano della famiglia Angelucci, che d’istinto voterebbe Sì senza pensarci due volte, si barcamena sostenendo che “invece dei fessi decimano i parlamentari”. Più defilata la Verità di Maurizio Belpietro, mentre il Tempo di Franco Bechis sostiene la tesi che la vittoria del Sì avvantaggerà solo Giorgia Meloni.
Nel nome di Prodi. Il Messaggero, di casa Caltagirone, non ha finora preso una posizione ufficiale, ma ha ospitato una posizione “pesante” per il No, quella di Romano Prodi. A supportare l’orientamento del quotidiano è il commento di una delle sue firme più illustri, Mario Ajello, che definisce il “no di Prodi” un atto “che smaschera ipocrisie e paure dei partiti”.
Il Ni del Corriere. Un atteggiamento di maggiore equilibrio è quello del Corriere della Sera di proprietà di Urbano Cairo. Il direttore, Luciano Fontana, rispondendo a un lettore, se l’è cavata con lo slogan “Idea giusta, problemi aperti” senza dichiarare il proprio voto. Il quotidiano ha aperto le porte a posizioni diverse come le due di ieri di Antonio Polito (per il Sì) e di Angelo Panebianco (per il No, un altro buon motivo per votare Sì).
P.s. Anche il manifesto ha deciso di schierarsi con nettezza per il No, ma in questo caso, va specificato, non si tratta di un quotidiano espressione di alcun potere. Per una volta.