1949-2020

Addio Daverio, lo storico che dava del “tu” all’arte

È morto ieri a Milano dopo anni di malattia. Saggista, mercante, professore, assessore, ideatore di programmi tv: è stato capace di tutto e bene

3 Settembre 2020

Era capace di una cosa di cui pochi sono capaci, rendere facili le cose difficili. Ti portava a spasso nella Storia dell’arte come fosse un gioco (perché in fondo lo è), ma insieme una cosa serissima (perché la è). Era dotato – cosa rarissima – di intelligenza dinamica, ossia quella che trova nuovi legami tra le cose. Mica quella enciclopedica, “sono capaci tutti di digitare su Google”. Il suo sapere era vasto, “conteneva moltitudini”, per scomodare Whitman, e sempre mosso dal desiderio di sapere di più, da una curiosità inesauribile. Philippe Daverio se ne è andato ieri, alla soglia dei 71 anni, in una stanza di ospedale della sua amata Milano, portato via da una brutta bestia con la quale stava bisticciando da anni. Impossibile definirlo, i grandi fuggono qualsiasi definizione, scivolano le etichette come saponette bagnate dalle mani: storico dell’arte, saggista, mercante d’arte, professore universitario, direttore di riviste, assessore, ideatore di programmi televisivi, insomma Philippe Daverio è stato capace di tutto, straordinario in ogni sua veste, per questa nessuna gli calzava a pennello. Era nato nel 1949 a Mulhouse, in Alsazia; al contrario di ciò che in tanti pensano, studiò alla Bocconi, quindi materie economiche (e di economia capiva tantissimo). Poi è arrivata l’arte, prima mercante, poi storico, poi saggista; professore in diverse università, direttore di musei, poliglotta, dandy fino al midollo – papillon, gin tonic e sigarette i suoi amori.

La grande popolarità arriva nel 2002 quando conduce su Rai3 Passepartout, un programma nel quale riusciva a raccontare l’arte come nessuno mai: con grande scienza, ma anche con grande divertimento. Magari lo si vedeva a inizio puntata aggirarsi in tabarro tra i corridoi della National Gallery di Londra – alla ricerca di un dettaglio minuscolo o di un dipinto sottaciuto – per poi vederlo ricomparire in abito di lino bianco ai piedi di una piramide di Luxor. Anche la casalinga di Arbasino andava in visibilio per lui, perché tra un museo e l’altro, oltre a divertirla con le sue spiegazioni colte e mirabolanti, le insegnava anche come bere “con garbo” un tè in giardino. Una volta registrò una puntata alla Biennale di Venezia insieme alla moglie: imitarono Alberto Sordi nel film Dove vai in vacanza? nella celebre scena in cui Sordi lascia la consorte affaticata su una sedia e i turisti la fotografano, scambiandola per un’opera d’arte. Perché Daverio possedeva l’arma tagliente dell’ironia, e la usava sempre. Amava molto André Malraux, storico ministro della Cultura francese, presidenza De Gaulle, che negli anni Sessanta scrisse Il museo immaginario, libro dove si preconizzava un futuro con le opere d’arte tutte a portata di mano. Arrivò Internet e lui replicò con Il museo immaginato, conclusione ideale del grande francese. Nella sua vita arrivò anche la politica: negli anni è stato corteggiato da destra e da sinistra, qualche volta ha ceduto a queste lusinghe, ma sempre fermo sulle sue idee, “è la politica che mi gira intorno, io rimango lo stesso”. Assessore alla Cultura di Milano con il primo sindaco leghista, Marco Formentini, dal 1993 al 1997 – “era la Lega ad avere idee daveriane, non il contrario” ripeteva – si candidò più volte con il Partito democratico e recentemente con +Europa, odiava nazionalismi e populismi. Non gliene fregava niente di destra o sinistra, era per le cose ragionate, come Malraux, uomo di sinistra in un governo conservatore: “Chi se ne frega delle bandierine, guardiamo la ciccia”.

Tifava per l’Europa – la grande Europa, che non è questa – tanto da fondare il movimento “Save Italy”, nel quale tra il serio e il faceto auspicava un commissariamento dell’Italia: “Siamo troppo belli, troppo preziosi e troppo cialtroni per bastare a noi stessi. Che ci salvi l’Europa!”. Era sì poliglotta, uomo di mondo, ma amava tanto l’Italia. Una volta a casa sua, davanti ad alcuni amici, recitò Goethe in tedesco: “Conosci tu il Paese dove fioriscono i limoni anche d’inverno?”. Sì, è l’Italia! E poi guardando la moglie Elena, sussurrò: “È laggiù, laggiù che io ti vorrei portare, o mia amata!”.

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