Per gettare definitivamente la maschera con un’uscita pop, Roberto Saviano, ha deciso di citare Max Gazzè della Favola di Adamo ed Eva: “Ma andate a cagare voi e le vostre bugie” ha twittato ricolmo d’ira lo scrittore. Il destinatario era chiaro: il segretario Pd, Nicola Zingaretti, ma anche, di riflesso, Giuseppe Conte e il M5S. Il pretesto della ribellione twìttarola di Saviano – “Le rivoluzioni finiscono sempre a tavola” avrebbe detto Leo Longanesi –è la decisione della direzione Pd di votare Sì al referendum sul taglio dei parlamentari. Bum: è lesa maestà per tutto quel mondo della sinistra che da trent’anni propone di ridurre il numero degli eletti. Eppure no, l’ordine di scuderia è questo: essere contrari a prescindere. Il motivo? Mica per ragioni nobili.No, la contrarietà di molti, a sinistra, si basa su una semplice equazione che suona così: “Se una cosa buona la vuole il M5S, allora noi siamo contrari”. A prescindere. Tant’è che Dario Franceschini ha risposto a Saviano parlando di “caduta di stile, piena di inspiegabile rancore” e lo scrittore ha controreplicato: “Stile è essere di destra fingendosi di centrosinistra?”. Con il suo vaffa neopopulista, Saviano è diventato l’icona della sinistra salviniana che ha il tic genetico dell’antigrillismo da quando è nato il Conte II. Anche a costo di aprire la strada alla destra di Salvini e Meloni. Ché la sinistra salviniana, pur cullando il sogno di Draghi, non ha alternative alla sconfitta.
No al taglio perché No.L’ultimo in ordine di tempo a opporsi al referendum in chiave filodestra è Mattia Santori, leader delle Sardine. ADiMartedì ha spiegato il suo No al referendum con una motivazione pregnante. Il problema non è la rappresentanza o la mancata efficienza del Parlamento, ma le parole: “Durante il lockdown abbiamo studiato tanto, soprattutto sul percorso e sulle parole che accompagnano un referendum. Per questo votiamo No”. Ma Santori si tradisce e rivela il vero motivo della contrarietà delle Sardine, ovvero il M5S: “Più sento parlare Di Maio, soprattutto sui costi, più non mi fido. Pensate che il M5S sia una forza leale che porterà a casa altre riforme?”. Stesse argomentazioni del direttore dell’Espresso Marco Damilano, che nel numero del 30 agosto ha stampato Luigi Di Maio su una poltrona dorata da Ancien Régime. Ed è proprio per questo che il settimanale del gruppo Gedi si è posizionato sul No: “Questo è un brandello di riforma – ha scritto Damilano – è un contributo allo smantellamento di un altro pezzo di istituzioni”. Da parte di chi? Ma ovvio, di Di Maio, che “di questo referendum è l’immagine”. Anche Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, vota No per lo stesso motivo: per non “gonfiare le vele ai populisti”. Ergo: Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Sulla stessa scia anche Massimo Giannini che su La Stampa del 23 agosto ha parlato di “deriva confusionaria” e di “un’autoamputazione del Parlamento che nutre la fame di rivincita delle forze populiste e sovraniste come M5S e Lega”.
Subalterni al M5S. Poi c’è la teoria secondo cui il “governo più a sinistra della storia” (copyright Berlusconi) ormai sarebbe costituito da due partiti: il M5S e un partito “senza identità” genuflesso ai grillini, ovvero il Pd. “Il taglio dei parlamentari è una bandierona populista: una vittoria per Di Maio e noi saremo i portatori d’acqua”, ha detto a Rep il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori. Sulla stessa linea, l’ex dalemiano Matteo Orfini che, insieme a Gori, sogna di fare le scarpe a Zingaretti: “È stato un errore madornale andare coi 5Stelle – va dicendo da mesi – abbiamo il virus della subalternità”. Per questo, ça va sans dire, anche lui vota No. Chi invece preferisce contraddire se stesso pur di andare contro il M5S è il senatore dem Luigi Zanda, ex tesoriere del partito che nel 2008 aveva presentato, con Anna Finocchiaro, una proposta di legge identica a quella attuale. Ma lui vota No lo stesso e anzi: “Voterei No anche alla mia proposta” ha confessato al Corriere. Contento lui. Luciano Violante, invece, motiva il suo No sperando che questo possa portare al “terremoto nel M5S”, ha detto al Riformista. Poi c’è chi, riferendosi al Pd, parla di “scissione politica e sentimentale” tra “sinistra e popolo” sul referendum: “Il problema è enorme – ha scritto ieri il vicedirettore dell’Huffington Post Alessandro De Angelis – il cuore pulsante di un partito di sinistra è un’idea di cambiamento, più o meno moderato, ma cambiamento”. Qualunque cosa voglia dire.
Meglio B.Se Michele Serra parla del M5S come il frutto di “una mediocrità sociale”, all’appello non mancano due punti di riferimento della sinistra che analizzano “antropologicamente” il M5S. Ergo: un pericolo per la democrazia. Sabino Cassese lo definisce “eversivo” e “incostituzionale” e Carlo De Benedetti, ex proprietario di Repubblica e oggi passato a Domani, da mesi ha riabilitato lo storico avversario: “Meglio B. di Conte”. Chissà cosa ne pensano i lettori di Repubblica.