Mi ero ripromessa di non scrivere niente di Mihajlovic e del Covid perché un uomo che ha una leucemia acuta, subisce un trapianto di midollo osseo, viene ricoverato tre volte, affronta la chemioterapia ed è sulla strada della guarigione definitiva, merita solo un rispettoso silenzio. Tanto più che- va ricordato- Mihajlovic ha detto cose preziose, durante la malattia.
Preziose perché non ha nascosto le sue fragilità e non ha fatto passare il messaggio stucchevole che la sua reazione potente alla malattia potesse servire da modello a qualcuno. “Non penso di essere un eroe, sono un uomo normale con pregi e difetti. Ho solo affrontato questa cosa per come sono io, ma ognuno la deve affrontare come vuole e può. Nessuno deve vergognarsi di essere malato o di piangere”. Poi è arrivato il Covid e, come premettevo, non volevo partecipare alla danza delle polemiche sulle sue vacanze smeralde. Certo, che una persona con i suoi recenti trascorsi abbia deciso di passare le vacanze in Sardegna tra partite di calcetto, cene in discoteca e a stretto contatto con familiari che a loro volta andavano nei locali più affollati dell’isola, mi ha stupita. Mai però quanto mi ha stupita la sua intervista di ieri alla Gazzetta in cui l’allenatore del Bologna spiega a noi altri scemi che magari abbiamo fatto vacanze più ritirate pur godendo di ottima salute, che lui non ha sbagliato nulla e che se la pensiamo diversamente siamo invidiosi della sua vita, delle sue vacanze, delle sue partite a calcetto con Briatore. Naturalmente, sale in cattedra all’indomani della sua guarigione dal Covid, mica prima. E allora parliamo dell’intervista. La sua premessa è che dopo quello che ha passato, per lui il Covid è stato bere un bicchiere d’acqua, ma negare la pericolosità della malattia è di chi “ha dimenticato troppo in fretta quello che è successo tra febbraio e maggio. La memoria corta è uno dei drammi della nostra società. Non si trae mai vero insegnamento da ciò che accade”.
Ora, mi sarò distratta un attimo, ma in che modo Mihajlovic avrebbe dimostrato, quest’estate, di avere una memoria migliore della nostra? Perché puoi anche decidere di salire sul pulpito, ma se su quel pulpito ci sono una ventina di persone con te senza mascherina e i camerieri del Billionaire che sventolano i tovaglioli, temo che la tua credibilità sia pari a quella di Salvini che bacia il rosario. Ma andiamo avanti. “Non ho avuto nessuna paura del Covid, solo molto fastidio per essere stato costretto ancora una volta ai box, mentre la mia squadra era in ritiro”. Ecco. Il suo, di fastidio. Non quello della società e dei calciatori che per il secondo anno di seguito (il primo era evidentemente giustificato) si ritrovano a iniziare la preparazione senza l’allenatore. No, il suo. E questo, spiace dirlo, anche lasciando da parte ogni considerazione su salute e imprudenze, non è un grande esempio neppure da professionista. Hai avuto una malattia importante, la società ti ha sostenuto, ti ha aspettato, ha sofferto con te, il minimo che tu possa fare la stagione seguente è ricambiarla col massimo della professionalità. E durante un’epidemia, un professionista il cui ruolo è fondamentale e portante in un gioco che smuove interessi e investimenti per milioni di euro, ha il dovere di preservarsi il più possibile, con la maggior disciplina possibile. Spiace dirlo, ma la Sardegna non pullulava di allenatori al Billionaire. C’erano modi più saggi per assecondare il legittimo desiderio di vacanza. E no, farlo notare non è una questione di “invidia”, come Mihajlovic da cui ci si aspetterebbero argomenti più elevati ha sostenuto nell’intervista. “Sono andato in vacanza come ogni estate in Sardegna. Gli italiani ti perdonano tutto, ma non il successo. E io ci aggiungo, anche la felicità”.
Ora, a parte che questi italiani sarebbero anche quelli che il successo gliel’hanno consegnato con opportunità, fama e denaro, non si comprende perché criticare il suo stile di vita alla luce del contesto generale dovrebbe essere argomento da sfigati che invidiano le sue vacanze in Costa Smeralda. Non ci crederà, forse, Mihajlovic, ma io quelle cene al Billionaire con l’attempato milionario iraniano e la sua fidanzata 19enne non gliele ho invidiate neppure per un attimo. E il suo successo mi lascia abbastanza indifferente, dal momento che non ambisco ad allenare il Bologna, sebbene dopo Ventura che ha allenato l’Italia, una mia stagione nel Bologna non sia del tutto da escludersi. Infine, Mihajlovic chiude l’intervista rifugiandosi nel benaltrismo da bar (“eh, allora chi non ha fatto neppure il tampone?”, “eh, allora chi è andato in vacanza in Puglia?”, “eh ho giocato a calcetto, ma allora gli altri?” “eh, e allora il distanziamento sugli aerei?”), facendo un’ultima scivolata: “Io non so come il virus sia arrivato a casa mia. I miei figli sono andati in discoteca? Sì. Erano aperte, era difficile impedirglielo, sono stati sbagliati i decreti. (…) Sono stato sfigato”.
Mi permetto di dire che i figli avrebbero potuto trovare divertimenti alternativi alle discoteche, dopo quello che tra ospedali e paura avevano attraversato, ma sorvoliamo.
Non sorvolo invece su altro, e spero che Mihajlovic ci pensi su. Il nostro futuro non dipenderà dai decreti, ma dal buonsenso individuale. E questa fase somiglia incredibilmente a una partita di calcio: si vince se ognuno fa la sua parte. E no, non si perde per semplice sfiga. Quella capita, ma se hai una partita importante, la sera prima sei a festeggiare al Billionaire e il giorno dopo vedi due porte anziché una, il nome giusto è un altro: superficialità.