Nell’ultimo commento che ha scritto per il Fatto Quotidiano, Lorenza Carlassare, costituzionalista e professore emerito a Padova, ha motivato così la scelta al prossimo referendum sul taglio del numero dei parlamentari: “Se vince il No nulla verrà più cambiato. Se vince il Sì c’è almeno la speranza che, fra le modifiche rese indispensabili dal taglio, ci sia anche la modifica della legge elettorale”.
Professoressa Carlassare, prima di arrivare alla legge elettorale una premessa di metodo: l’altra volta si diceva che la riforma era troppo vasta, ora si obietta che la modifica, puntuale, non si porta dietro una riforma di sistema. La battaglia per il referendum è squisitamente politica?
La Costituzione non prevede in nessun modo riforme di sistema: al bisogno, si possono apportare modifiche puntuali. I costituzionalisti lo hanno più volte sottolineato, in particolare Alessandro Pace, che ha scritto tantissimo su questo tema. La mia impressione è che alcuni tra gli oppositori, non avendo argomenti validi, vadano a caccia di pretesti anche a costo di contraddirsi.
Perché si vuole riproporre oggi l’automatismo del 2016, quando la sorte del governo era legata all’esito del referendum?
Questo dimostra la vacuità dei discorsi. Renzi si doveva ritirare dalla politica: è ancora in Senato e parla tutti i giorni. Ribadisco quello che ho appena detto: quando mancano ragioni forti, si tenta di suggestionare gli elettori.
Come lei ha ricordato, la riforma del taglio dei parlamentari in ultima lettura è stata approvata con una maggioranza bulgara dalla Camera. A questo proposito Valerio Onida ha detto: “Votare No aggraverebbe il sentimento di sfiducia che già esiste nei cittadini verso le istituzioni”.
Sono d’accordissimo con Onida. Basta ricordare i numeri, che sono impressionanti: 553 deputati a favore, 14 contrari, 2 astenuti. È incredibile che nonostante questa totale adesione si abbia il coraggio di affermare che si tratta di una riforma che va contro il Parlamento! La verità è che a discapito della Costituzione si fanno piccoli giochi politici, in assenza di progetti da proporre. C’è una totale mancanza di convinzione perfino sulle regole democratiche. Mi pare che questi ripensamenti siano dettati da questioni di opportunità politica: aprire una crisi, far cadere il governo… Il risultato è che i cittadini sono sconcertati perché capiscono che non c’è nessuna serietà, nessun reale convincimento, e non si fidano più. Per questo, oltre a una nuova legge elettorale, è necessario riprendere in mano la legge del 2016 che prevedeva l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione.
Quello sul ruolo dei partiti?
La Costituzione dice che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. I protagonisti sono i cittadini, i partiti uno strumento. La legge del 2016 prevedeva che i partiti pubblicassero il curriculum dei candidati e il certificato del casellario giudiziale.
Sulle maggioranze da modificare dopo il taglio, il punto principale riguarda il peso dei delegati delle Regioni nella platea elettorale che sceglie il presidente della Repubblica. Lei che ne pensa?
Si può ridurre, dimensionandolo alla nuova composizione del Parlamento in seduta comune. Ci vorrà una legge costituzionale, però è una questione davvero da poco. I Costituenti hanno immaginato una platea più vasta per l’elezione del capo dello Stato perché è colui che per sette anni rappresenta l’unità nazionale, quindi la voce delle Regioni deve avere un peso.
I Costituenti non hanno inserito il numero dei parlamentari nella Carta: perché?
Alla Costituente è stata fatta una scelta variabile, in proporzione alla popolazione. Sul numero si discusse: nelle sedute del 16 e 19 settembre 1947 l’onorevole Nitti ricordò quanto siano pochi, al confronto, i parlamentari di una delle più antiche democrazie, gli Stati Uniti, e l’onorevole Conti, relatore, disse: “Bisogna ridurre il numero dei deputati. Avremo così una Assemblea più snella e, se vogliamo davvero la Costituzione di uno Stato in cui tutti gli organi rappresentativi abbiano vigore e una grande autorità, dobbiamo tendere a fare della Camera dei deputati un’Assemblea nella quale la dignità, la coltura, se possibile, la sapienza siano immediatamente riconosciute dal Paese il giorno successivo alle elezioni. Non si deve dire: quanta gente che non vale nulla! Si deve riconoscere l’esistenza di un’Assemblea legislativa composta di uomini degni della loro funzione”. Ma continuiamo a discutere dei dettagli: ciò che influisce sulla rappresentanza è la legge elettorale. Per questa bisogna fare una battaglia.
Nell’articolo per il nostro giornale, lei ha scritto la sua “ricetta”: proporzionale con soglia di sbarramento non superiore al 3 e senza liste bloccate. L’obiezione che alcuni le muovono è che questo sistema pende troppo verso la rappresentanza e troppo poco verso la governabilità.
L’obiezione sulla governabilità risente del clima verticistico che a lungo ha dominato il nostro dibattito pubblico, facendo danni indescrivibili. La Consulta, nelle sentenze che hanno annullato Porcellum e Italicum, ha riconosciuto che la governabilità è un principio di cui tener conto, ma mai a discapito della rappresentanza che è un valore costituzionale. Credo però che l’ubriacatura maggioritaria sia scemata. Aggiungo che nella legge elettorale va anche inserito il divieto di pluricandidature! Il fatto che un candidato possa presentarsi in vari collegi consente al partito di far eleggere chi vuole.
Quali sono le riforme costituzionali assolutamente necessarie, cui si potrebbe lavorare dopo il referendum?
Quando sarà stata fatta la legge elettorale nel senso che abbiamo detto, io non cambierei nulla. Lascerei un po’ in pace la Carta: le Costituzioni sono fatte per durare.