“Nei locali qui intorno li conoscono tutti, quando entrano loro scende il silenzio”. Il ragazzo che parla, maglietta verde e pochi centimetri di pelle lasciata libera dai tatuaggi, è appena uscito dalla caserma dei carabinieri a Colleferro, a venti metri da dove Willy Monteiro Duarte è stato ammazzato di botte. Con la sicurezza di chi si sente invincibile al punto di picchiare sotto le finestre delle forze dell’ordine. Ad Artena, 8 km in linea d’aria, dove i fratelli sono di casa, un uomo di mezza età, seduto davanti a un bar vicino alla loro villa, azzarda: “I fratelli Bianchi? Hai presente i Casamonica? Ecco…”.
A chi vive in queste zone Marco e Gabriele fanno paura. I “gemelli” sono conosciuti in tutta la valle alle spalle dei Castelli Romani. Artena, Colleferro, Lariano, fino a Giulianello e Cori, in provincia di Latina. Nel giro di qualche anno si sono beccati dieci denunce in due, tutte per lesioni. I fascicoli sono custoditi al tribunale di Velletri. “Lavorano su commissione, chi ha un credito e non riesce a farsi restituire i soldi manda loro dal debitore. Arrivano, picchiano e tornano con i soldi”, racconta il giovane con la maglietta verde, fuori dalla caserma dei carabinieri. Lui che con l’inchiesta non c’entra nulla, ammette: “Li conosco bene, li conoscono tutti”. E gli inquirenti confermano. Un naso rotto, un braccio fuori uso, due denti saltati o una costola incrinata. Chi li denuncia però non fa mai riferimento al “movente”. Dicono: “M’hanno menato senza motivo, forse pensavano li avessi guardati male”.
Gli investigatori hanno le idee chiare, e hanno ricostruito la loro “professione”. Dal racconto di chi indaga, i “gemelli” lavorano come emissari dei pusher di zona: quando gli acquirenti iniziano a indebitarsi, gli spacciatori chiamano i “picchiatori”, che intervengono per pestare chi si è attardato troppo. “Molti nemmeno denunciano, non conviene”, ripetono quasi rassegnati. E c’è anche un giro, fisso. Di solito la loro serata inizia a cena ad Artena, al Nai Bistrot di Alessandro, il fratello maggiore, chef “di livello” che ha aperto a luglio. Poi parte il tour dei paesi. Colleferro è la prima tappa, fissa. In piazza Italia, davanti alla caserma, a due passi dal luogo del massacro. Poi si va a Lariano, comune dei Castelli attaccato alla frazione di Colubro, dove la famiglia Bianchi vive. Quindi Giulianello, sede delle Macellerie Sociali, il cui titolare Marcello ha raccontato le prepotenze dei “gemelli” sui social. Infine Cori, in provincia di Latina. “Il padre vive con il reddito di cittadinanza, loro non lavorano. Il fratello è l’unico che ha un’attività: hanno il villone, la macchina costosa, i viaggi, i vestiti firmati: come pensate se li paghino?”, dice un investigatore.
Ad Artena il clima di timore è palpabile: “Io non mi ci metto nei casini con voi, andate via”, attacca un ristoratore. Il proprietario di un bar di Colubro, 100 metri dalla villa dei Bianchi, ammette: “Li conosco da quando sono piccoli, ma qui non ci vengono a fare casino, io chiudo alle 8 di sera”. E aggiunge: “Saranno 20 anni che non vado lassù, ho avuto a che fare per riparare una fognatura, e basta”. “Lassù” sarebbe alla fine di via della Resistenza, in cima a una salitella dalla quale svetta la villa di famiglia: i nomi in corsivo sul citofono, il cane molosso che ringhia dietro al cancello e il suv bianco nel cortile ben curato. A una signora anziana, una vicina, domandiamo se quella è casa dei fratelli Bianchi: lei fa segno di fare silenzio con il dito alla bocca, poi con la mano indica la villa. Quindi dice: “Non lo so, non lo so”. Ma se chi vive nelle loro zone non lo sa, chi queste dinamiche le combatte non ha dubbi: “A Colleferro c’è stata una mentalità mafiosa – commenta in serata il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri –. Quei ragazzi, se sono stati loro, hanno avuto un atteggiamento mafioso, quello del controllo del territorio.
E non c’è solo la violenza. I Bianchi si fanno schermo dietro alle conoscenze importanti. La compagna di Gabriele è figlia di Salvatore Ladaga, ex vicesindaco e consigliere di Forza Italia, un “pezzo grosso della politica cittadina”. “Con gli affaracci dei Bianchi la politica non c’entra niente – spiegano gli inquirenti – ma loro a volte, prima di passare alle mani, si fanno forza anche di quello”. “Sono tutte fandonie, ormai ci sono mitomani che dicono qualsiasi cosa e i media se li bevono”, replica stizzito Mario Pica, uno dei due legali dei fratelli: “Facciamo parlare gli atti. Ricordiamoci come venne trattato Enzo Tortora”.