“Le mafie non stanno a guardare, sono tra noi e si nutrono del nostro consenso. Stanno comprando e compreranno ristoranti, alberghi, pizzerie, attività commerciali, latifondi che sono in crisi. Il coronavirus avvantaggia le mafie”
Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro, ospite di “Otto e Mezzo”
Proviamo a incrociare le parole di Gratteri con le dichiarazioni sui fratelli Bianchi accusati del massacro di Willy, raccolte a Colleferro da Vincenzo Bisbiglia e Marco Pasciuti, e pubblicate sul “Fatto”. Questa in particolare: “lavorano su commissione, chi ha un credito e non riesce a farsi restituire i soldi manda loro dal debitore. Arrivano picchiano e tornano con i soldi”.
Stiamo parlando di usura, di strozzinaggio: sedicenti finanziarie dietro le quali operano le varie cosche e camorre locali, e anche “cravattari”che agiscono in proprio ma con la medesima metodologia mafiosa. Perché oltre a incamerare con pochi spiccioli le attività commerciali messe in ginocchio dalla pandemia (e non soltanto), i boss agiscono sui soggetti più deboli con i sistemi sopra descritti. Ti presto i soldi per mandare avanti il bar o la bottega ma se non mi ridai quattro o cinque volte tanto entro quella data, prima ti meno e poi mi prendo tutto. In questi casi attenzione all’uso sempre più diffuso della violenza fisica, di gran lunga preferita dai criminali per comprensibili ragioni. Risulta assai meno rischiosa rispetto, per esempio, all’uso di armi da fuoco o da taglio perché le botte si sentono ma non si vedono. E se i picchiatori agiscono in modo “professionale”, quasi mai è necessario il ricovero al pronto soccorso e dunque l’intervento dei carabinieri. Esiste poi accanto quella fisica la violenza psicologica e morale del pestaggio, spesso volutamente esibito alla presenza dei familiari, della donna e dei figli del debitore.
Umiliazione e sottomissione da cui le vittime escono totalmente annichilite, disposte da quel momento a obbedire senza se e senza ma agli aguzzini pur di non subire altre devastanti “lezioni”. Non sappiamo se per contrastare il dominio economico dell’illegalità sarà sufficiente, come chiede Gratteri, la distribuzione dei fondi europei accompagnata da regole stringenti per evitare che finiscano, anch’essi, sotto il controllo mafioso. Così come, sul piano parallelo, non abbiamo neppure la certezza di “condanne severe” per i responsabili del massacro, come chiesto dal premier Conte al funerale di Willy, e dal coro delle forze politiche. Ciò non perché manchi la determinazione di inquirenti e magistrati, impegnati a rendere giustizia al giovane italiano di Capo Verde. Preoccupa invece il clima di omertà diffusa che può avere contagiato Colleferro a causa dei professionisti della paura (“quando entrano loro scende il silenzio”). Pochi sono disposti a dire qualcosa ai giornalisti, e sempre sotto il vincolo dell’anonimato. Non per viltà ma per quel clima di angoscia destinato, probabilmente, ancora a pesare e a condizionare i comportamenti di quella comunità quando i riflettori di giornali e tv si spegneranno. Chiusa l’indagine saranno infatti anche e soprattutto le testimonianze rese in aula a rendere giustizia a Willy. Speriamo senza ritrattazioni, senza improvvise amnesie ma con la volontà decisa di liberarsi tutti, e una volta per tutte, da quella peste, da quelle bestie.