“La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”. Il secondo comma dell’articolo 9, uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione, dovrebbe significare, prima di tutto, prevenzione sismica. Perché se c’è una cosa capace di cancellare in un colpo solo paesaggio e patrimonio, anzi pietre e popolo, ebbene quella cosa è il terremoto. Ma, ad oggi, su questo fronte cruciale abbiamo solo due certezze: “I terremoti che colpiranno il nostro Paese nei prossimi decenni avranno il medesimo impatto distruttivo di quelli del passato; non esiste oggi in Italia alcun programma coordinato che possa ridurre in modo significativo l’attuale livello di rischio sismico”. In altre parole, siamo qua, inerti ed inermi, ad aspettare che un altro disastro abbia luogo: dopo che, nei primi vent’anni di questo secolo, i terremoti hanno già inflitto all’Italia 650 morti, 60 miliardi di danni economici e un incalcolabile danno culturale e sociale. Le parole che esprimono le due drammatiche certezze di cui sopra sono tratte dal “Manifesto per una strategia nazionale di riduzione dell’impatto dei terremoti sulle popolazioni esposte a maggior rischio, dopo cent’anni di fallimenti”; un lucidissimo testo presentato nel 2019 da nove personalità del mondo della geologia, della sismologia storica, della geofisica, dell’ingegneria, del diritto.
Allora, il Presidente della Repubblica (come recita una nota del Segretariato generale del Quirinale) “ha manifestato apprezzamento per il documento che nasce dal contributo di esperti in diversi settori ed è espressione di un patrimonio integrato di conoscenze e di uno spirito di impegno civile particolarmente significativo”.
Incoraggiati da questa alta approvazione, i firmatari hanno atteso che il governo della Repubblica ne prendesse atto, e si muovesse: invano. Anzi, è oggi evidente che non un euro del diluvio di miliardi post-Covid andrà a sostenere una vera prevenzione sismica: è terribile dirlo, ma stiamo solo aspettando di vedere a quale regione, a quale città o paese, toccherà in sorte il prossimo evento distruttivo. Così i nove promotori (Roberto De Marco, Emanuela Guidoboni, Gianluca Valensise, Teresa Crespellani, Elisa Guagenti Grandori, Vincenzo Petrini, Umberto Allegretti, Fabio Sabetta, Giovanni Manieri) sono tornati a scrivere, denunciando che “dal dibattito politico istituzionale riguardante il Recovery Plan, a partire dal Piano Colao fino agli ultimi atti del Governo, il tema della prevenzione sismica è scomparso da tutte le agende. Del rischio sismico semplicemente non si parla più, e tale cancellazione è forse il più grave tra gli effetti collaterali del bonus terremoto. Colpevolmente si è forse fatta circolare la voce che questo strumento – in grado di risolvere i problemi di chi si vuol cambiare l’automobile o il condizionatore – vada bene anche per evitare le conseguenze del terremoto, per ‘mettere in sicurezza il territorio’ come si è sentito ripetutamente promettere. Ma semplicemente così non è”.
È successo, cioè, che il governo Conte ha costruito uno strumento (il superbonus del 110%) che serve solo a far ripartire la speculazione edilizia (poi ulteriormente peggiorato da emendamenti come quello che consente di demolire gli stadi storici, votato da Pd, Italia Viva e Lega), permettendo demolizioni e ricostruzioni indiscriminate anche nei centri storici. Al punto che il sindaco di Genova ha potuto, tragicomicamente, annunciare “un nuovo centro storico”. Un’enorme quantità di denaro, spalmata su tutte le case italiane, senza alcuna priorità e senza alcuna stringente indicazione antisismica: il risultato è che anche il terremoto diventa una leva per la rendita immobiliare. E che le vere zone a rischio sismico rimarranno a rischio, esattamente come prima. “Tali aree – spiega il Manifesto del 2019 – non superano il 20% della superficie totale dell’Italia, coinvolgendo meno di un decimo della sua popolazione. Con poche eccezioni si tratta di aree interne, relativamente distanti dalle aree di pianura e costiere (in cui si concentrano popolazione e attività produttive), diffuse soprattutto lungo la catena appenninica, dalla Toscana alla Calabria, e nella Sicilia orientale. Aree in genere poco favorite dallo sviluppo economico, industriale, infrastrutturale, e soggette a de-popolamento, ma in cui si trova una consistente quota del patrimonio storico-artistico dell’Italia”.
È in questi luoghi, magnifici e emarginati, che si dovrebbe investire, con interventi sorretti dall’evidenza scientifica (e non dagli interessi immobiliari) e possibilmente guidati da una Protezione Civile finalmente svincolata dalla politica (che la usa per costruire consenso, non sicurezza).
I terremoti sono imprevedibili, ma i danni che fanno, in termini di vite e di danni, sono prevedibilissimi: se continueranno a devastare il nostro Paese non sarà colpa del destino, ma del colpevole sonno della politica. Non sarebbe l’ora di svegliarla?