Tredicimila chilometri quadrati. Sì, avete letto bene. Tredicimila. Come in tredici volte mille, o come la Regione Campania. Questa è la vastità dell’area che, quest’anno, è stata devastata dagli incendi nella costa ovest degli Stati Uniti (California, Oregon e Stato di Washington). Un’area che è ventisei volte più grande di quella dello scorso anno.
Nell’Oregon, che conta circa quattro milioni di abitanti, le autorità hanno diramato un ordine di evacuazione per 500 mila cittadini: più del 10% della popolazione di uno Stato, simile – nei numeri – a quella della Puglia, ha ricevuto l’ordine di abbandonare immediatamente le proprie abitazioni; mentre altre centinaia di migliaia si trovano in uno stato di “massima allerta”, pronti a fuggire dovesse peggiorare la situazione. Secondo la governatrice dell’Oregon una stagione di incendi di questa dimensione “non si era mai vista” ed è stata definita, dal Governatore dello Stato di Washington come un “unico grande incendio climatico”. Di questi incendi climatici, tre sono tra i cinque più estesi della storia della California, compreso il più esteso di sempre. Non si sanno ancora ancora i costi – ma alcune stime ipotizzano perdite superiori a quelle del 2018, quando i danni totali ammontarono a circa 24 miliardi di dollari.
La natura apocalittica di questi eventi dovrebbe apparire chiara, e come potrebbe essere altrimenti? Ogni record viene infranto mentre il fuoco avanza inarrestabile, e perfino il più devoto dei negazionisti farebbe fatica a raggirare e mentire: basta aprire – se ci riuscite, e il fumo non vi acceca – gli occhi, e guardare fuori dalla finestra.
Gavin Newsom, Governatore della California, ha affermato:“Questi incendi sono le conseguenze della crisi climatica”, e ancora “questa è la dimensione della crisi climatica, queste scene dimostrano quanto sia devastante”.
Newsom, quindi, sembra avere le idee abbastanza chiare sulla crisi climatica – come dimostrano anche le sue azioni: quest’anno ha approvato – da Aprile – ben 48 nuovi permessi per l’utilizzo del fracking (una delle tecniche estrattive più inquinanti e devastanti che ci siano), e ha aumentato le concessioni per l’estrazione di petrolio e gas del 190%. Un vero paladino del clima, insomma. Come diceva il detto? “Anche da un cattivo insegnate puoi imparare molto”.
A gettar benzina sul fuoco il mondo dei media, che pure dovrebbero essere un pilastro della nostra democrazia: mentre Newsom ha riempito le prime pagine con le sue dichiarazioni pubbliche, le televisioni non citano affatto la crisi climatica e sui social infuriano fake news di ogni genere, il cui unico scopo è distogliere la discussione dal tema principale: il clima è già cambiato, stiamo già vivendo una crisi epocale – la nostra società non ha mai affrontato una crisi così grande e non sta facendo abbastanza per affrontarla.
Il nostro paese non è da meno, certo gli Stati Uniti sono lontani, ma la crisi climatica non lo è: i nostri ghiacciai si fondo a ritmi allarmanti, mettendo a rischio l’approvvigionamento idrico del paese, le nostre città sono colpite da eventi atmosferici sempre più devastanti, nuovi record di “caldo anomalo” arrivano – qualche volta – tra le prime pagine, mentre i nostri prodotti agricoli sono minacciati dalla siccità; ma la crisi climatica resta assente nel dibattito politico (dove ci si limita a parlare di “Ambiente”) e dai canali di informazione mainstream.
Coloro che dovrebbero essere i paladini dell’interesse del popolo, che dovrebbero formare l’opinione pubblica, falliscono nel dare nome e cognome a questi fenomeni: crisi climatica. La speranza, però, c’è. Esiste. Se anche solo pochi di essi iniziassero a trattare il tema con l’urgenza e la costanza che richiede, se dicessero la verità sulla crisi climatica, la politica dovrebbe cambiare e agire; perché una nuova e consapevolezza si farebbe strada nella popolazione.