Le Regioni in ordine sparso. Il grande classico del Covid-19 si ripete, con tanto di strascichi in sede di giustizia amministrativa ed esiti opposti. Il tema stavolta è il vaccino antinfluenzale: Lazio, Calabria e Campania lo hanno reso obbligatorio in vista dell’autunno, ma i provvedimenti di Nicola Zingaretti e Iole Santelli sono stati impugnati davanti ai rispettivi Tar. Se i giudici laziali hanno negato la sospensiva al Codacons che chiedeva di annullare l’ordinanza che dal 15 settembre rende obbligatoria la vaccinazione per gli over 65 e il personale sanitario, i magistrati di Catanzaro hanno annullato l’analogo provvedimento della governatrice di Forza Italia: per loro è in contrasto con l’articolo 32 della Costituzione che vieta di introdurre trattamenti sanitari obbligatori per via amministrativa e viola la divisione delle competenze tra Stato e Regioni perché l’obbligo vaccinale può essere deciso solo dal primo.
Le due ordinanze condividono una logica di fondo, l’utilizzo del vaccino in funzione “diagnostica”. “In questa fase di ripresa dell’epidemia e con l’autunno in arrivo – spiega Massimo Andreoni, direttore delle Malattie infettive del Policlinico di Tor Vergata a Roma – un grande problema sarà l’insorgenza di patologie respiratorie che ogni volta creeranno il dubbio se si tratti di Covid o no. L’ordinanza punta a ridurre al massimo i casi di influenza per rendere più semplice il riconoscimento di quelli di coronavirus”. Non tutti concordano. “Il vaccino serve e protegge, ma in questo caso potrebbe esporre a rischi – afferma Corrado Perricone, già direttore del Centro di Riferimento Regionale per le Emocoagulopatie della Campania –. I vaccini contengono tre varianti di anticorpi, oltre a una sostanza che ne stimola la produzione. La vaccinazione, quindi, aiuta l’organismo a produrre anticorpi selettivi, che valgono cioè soltanto per contrastare un tipo di virus. Di conseguenza diminuisce la produzione degli altri, anche di quelli che servirebbero contro il Covid-19. Così la difesa immunitaria ne viene nel suo complesso a risentire”. Il risultato, secondo il professore, già membro del Consiglio Superiore di Sanità, è che “in caso di contemporaneità delle due virosi chi si è vaccinato si troverebbe sì protetto dall’influenza, ma maggiormente esposto al SarsCov2”. Un problema che riguarda in particolare gli anziani, che le ordinanze si propongono di tutelare: “Con l’avanzare dell’età la capacità di produrre anticorpi si riduce, quindi la risposta immunitaria di chi non è più giovane ne uscirebbe ulteriormente indebolita”.
Per Andreoni, invece, gli over 65 “sono le persone più fragili, che possono risentire maggiormente di entrambe le patologie e andare incontro a quadri gravi sia di influenza che di Covid. Quindi – spiega – si tratta di anticipare una parte del lavoro. Per loro il vaccino non è mai stato obbligatorio, ma se si andasse a vedere i numeri in termini di mortalità e di morbosità dell’influenza e i costi in termini di sanità pubblica e vite umane ci si domanda perché non sia stato reso obbligatorio prima”. Su una cosa concordano i due esperti, l’utilità di immunizzare i bambini. “I più piccoli hanno una grande capacità di sviluppare anticorpi –osserva Perricone –, quindi la vaccinazione pediatrica è una misura sensata”. “Il problema è quanto i bambini potranno gravare sui laboratori che effettuano il tampone – aggiunge Andreoni –. Incrementarne la richiesta potrebbe mettere in difficoltà la nostra capacità di diagnosi rapida che è l’unico strumento valido per contenere l’epidemia”. Ben venga, quindi, l’analisi differenziale tramite vaccino. Che, però, per chi non appartiene alle categorie a rischio potrebbe essere difficile da trovare.
Secondo Assofarma, dopo che la Conferenza Stato-Regioni ha deciso di destinare ai farmacisti 250 mila dosi, l’1,5% di quelle acquistate dalle Regioni, quest’anno ogni farmacia potrebbe disporre di appena 13 dosi.