Il voto disgiunto è un protagonista del voto di oggi e domani. La tecnica che consente di votare il partito di riferimento e un candidato presidente che eviti il peggio occupa silenziosamente il dibattito del M5S, dove al silenzio dei principali dirigenti corrisponde un tacito assenso, anche se Alessandro Di Battista si è schierato furiosamente contro. Ma non è escluso che il problema attraversi anche partiti come Italia Viva (ieri Teresa Bellanova ha invitato a votare in Puglia Michele Emiliano invece che Ivan Scalfarotto, lapsus poi subito corretto). A parte le Marche, dove è vietato dalla legge, è possibile ovunque, ma anche l’attenzione è tutta per Toscana e Puglia.
Il fatto è che nell’Italia finto-bipolare, con sistemi elettorali sconnessi l’uno dall’altro e un sistema partitico instabile ormai da almeno trent’anni, il voto disgiunto è una presenza costante.
Il caso Emilia. Si è fatto largo all’inizio di quest’anno, nel corso della campale campagna emiliana quando Stefano Bonaccini, attuale presidente della Regione, vinse anche grazie a un forte scarto di voti tra il voto personale e quello delle liste che lo sostenevano. L’Istituto Cattaneo ha stimato in 70mila voti, circa il 3%, i consensi provenienti dal voto disgiunto, non solo dal M5S, ma anche da molte altre liste di sinistra e di destra.
Non scattò in misura sufficiente, invece, in Lombardia nel 2013 quando i “montiani” che sostenevano Gabriele Albertini fecero un appello a votare per Umberto Ambrosoli contro Roberto Maroni. Nonostante il candidato del centrosinistra avesse ottenuto 180mila voti in più della propria coalizione, e Albertini 20mila in meno, il candidato leghista ebbe la meglio.
Due Camere, due voti. Ma il voto disgiunto esiste da sempre. Come spiega ancora l’Istituto Cattaneo in uno studio del 2013, trova origine nel bicameralismo italiano che consente di votare per Camera e Senato in modi diversi. Tra il 1987 e il 2008 la percentuale che ha votato per due partiti diversi nelle due Camere “ha oscillato tra il 5 e l’11%” con una crescita dopo la crisi sistemica del 1992. Prima, quando l’appartenenza ai partiti era molto più forte, lo sdoppiamento del voto era molto limitato. Negli anni 2000, invece, oscilla tra il 6 e il 10%, in particolare nelle regioni del Sud, molto meno nelle regioni “rosse”. A utilizzarlo sono stati soprattutto i giovani (8,9% in media tra il 1987 e il 2008) mentre la media scende al 4,8% tra gli over 65.
Ballottaggio speciale. La tecnica è fortemente invocata alle Regionali, le uniche con sistema maggioritario a un turno. Chi arriva primo, prende tutto (tranne in Toscana se il primo arrivato non supera il 40%: in quel caso si passa al ballottaggio). Il voto disgiunto diventa così un modo per formarsi da soli un ballottaggio in un turno solo. Con un voto si sceglie la lista preferita e con l’altro il candidato in grado di evitare il peggio.
Da D’Alema a Bertinotti. Massimo D’Alema, da presidente del Consiglio nel 2000, in vista delle Regionali che gli costarono il posto, fece appello al voto disgiunto dei Radicali ricevendo un cortese no. Rifondazione comunista ne fu destinataria d’eccezione, specialmente quando alle Politiche vigeva il Mattarellum, una scheda per il proporzionale e una per il maggioritario. La pressione fu tale che nel 2001 indusse Fausto Bertinotti a scegliere la “desistenza” rinunciando a presentare liste nei collegi uninominali della Camera.
Il voto disgiunto fece capolino anche alle Politiche del 2008, le prime del nuovo Pd guidato da Walter Veltroni. Alla Sinistra arcobaleno capeggiata proprio da Bertinotti, si chiedeva un voto disgiunto tra Camera e Senato (terreno di scontro più decisivo). Bertinotti rispose: “I sondaggi ci danno in crescita ovunque, saremo utili comunque”. Per contrappasso, a quelle elezioni la sinistra radicale scomparve per la prima volta dal Parlamento.
Autolesionismo Chi farà vincere la destra è il re del tafazzismo
Come sappiamo, oggi e domani gli elettori 5stelle possono costituire l’ago della bilancia che decide la vittoria o la sconfitta nelle due Regioni chiave della Toscana e della Puglia. Ma da essi può anche dipendere il futuro della maggioranza e del governo Conte. Perché delle due l’una. Possono fare buon uso del voto disgiunto segnando sulla scheda sia il simbolo M5S, sia il nome del candidato del centrosinistra (Emiliano in Puglia, Giani in Toscana). E manderanno un segnale positivo per l’alleanza giallorosa, che si potrà dare come possibile orizzonte la fine della legislatura. Possono invece non usare il voto disgiunto, comunque non in misura tale da determinare la vittoria dei due nomi del centrosinistra. E manderanno un segnale esattamente opposto. Oltre a minare la sopravvivenza del governo, sanciranno l’impossibilità di un patto non precario tra M5S e Pd, condannati in un futuro prossimo al ruolo di minoranze distinte e senza peso. Si spianerà inevitabilmente la strada al regime Salvini-Meloni. Puro tafazzismo.
Antonio Padellaro
Rischio Nessuno mi rappresenta però guai se si favorisce fitto
Il quadro pugliese definisce bene lo smarrimento del M5S, che ha scelto di autosabotarsi senza neanche dare ascolto ai propri iscritti, che si erano espressi a favore delle alleanze col Pd. Da tarantino che li ha sostenuti, dopo aver visto cosa è successo su Tap e Ilva dico che non esiste più un M5S credibile e la Laricchia non ha un progetto politico sulla Puglia. Alle ultime elezioni ho strappato la scheda perché mi rifiutavo di votare il meno peggio. Ma mi sono accorto che al fondo del barile non si arriva mai e, se non si può votare il miglior rappresentante, sceglierò almeno il mio avversario. Mi spiego: Emiliano non mi rappresenta, soprattutto per il suo progetto di decarbonizzazione per una fabbrica come Ilva che invece va smantellata, però lui è un avversario politico con cui posso confrontarmi, Fitto invece rischia di portarci indietro di 40 anni. Non sono tutti uguali. Perciò meglio votare il proprio avversario politico: da terrone non permetterò che la Lega Nord possa issare la sua bandiera qui.
Michele Riondino
Rimpianti Un errore non allearsi e oggi manca pure l’effetto sardine
Purtroppo a poche ore dal voto in Toscana e in Puglia siamo in mano solo alla speranza e questa è la tragedia. Nel senso che 5 Stelle e Pd dovevano pensarci prima e non si sarebbe dovuti arrivare a questo punto. A sinistra hanno avuto anni per pensare a dei candidati migliori, perché non è stato fatto? Il discorso vale anche in Campania, perché anche se De Luca vincerà con l’etichetta del Pd, resta il piu leghista di tutti.
Ora nelle Regioni contese il voto disgiunto potrebbe replicare in parte quanto accaduto in Emilia, ma c’è una grossa differenza. Allora Stefano Bonaccini fu molto aiutato dalle Sardine, che avevano una forza dirompente e che spostarono voti anche dei simpatizzanti del Movimento. Se Emiliano e Giani avessero beneficiato della stessa forza di piazza che aiutò Bonaccini, non ci sarebbero dubbi sulla loro vittoria. Qui invece non solo le Sardine non ci sono più, ma credo ormai si siano pure inimicati l’elettorato grillino col No al referendum sul taglio degli eletti.
Domenico De Masi
Scelte Qui la sinistra ha sbagliato, ma è inutile “buttare via” un voto
Il vero problema in Toscana è che 5Stelle e sinistra non siano riusciti a presentarsi insieme di fronte a una destra che è una delle peggiori di sempre. La tendenza autolesionista della sinistra ha prodotto uno dei tanti errori di questi anni. Dunque, capisco se i 5Stelle o gli elettori di estrema sinistra non sono convinti di Giani, anche perché col tempo si sono creati piccoli centri di potere locali che non hanno aiutato l’immagine di chi ha amministrato la Regione. Ma l’ipotesi del voto disgiunto permette di evitare il peggio e scegliere un proprio rappresentante in un’altra lista. Si tratta di votare il meno peggio, certo, ma forse è così che funzionano le cose in democrazia. È inutile votare il meglio del meglio se significa “buttare via” un voto e regalare la vittoria a chi è all’opposto rispetto a te. Per dirla con una battuta: come purtroppo ci capita di dire ormai da anni, è meglio turarsi oggi il naso che doverci tappare qualcos’altro da lunedì.
Paolo Hendel
Harahiri Votare chi perde di sicuro è suicidia. Emiliano è meglio di fitto
Per un elettore M5S dovrebbe essere naturale praticare ora il voto disgiunto. Votare il simbolo ha senso. Votare Galletti e Laricchia è invece suicida, perché entrambe non hanno chance di vittoria. Null’altro che un regalo alle destre.
Se però osi ragionare così, i talebani duri&puri prima ti insultano e poi farneticano deliri tipo questo: “Anche quando la Bresso perse in Piemonte dettero la colpa a noi!”. Certo. Ma era secoli fa e, soprattutto, al tempo il M5S non governava (anche) col Pd. Intendiamoci: capisco eccome le difficoltà di votare un’espressione (peraltro minore) del renzismo come Giani. Da toscano lo so bene. Lì il Pd ha colpe ataviche ed è pure recidivo. Ma fare la guerra a Emiliano, “il più grillino dei pidini” persino in tempi non sospetti (infatti Renzi lo odia), è folle. Se vincerà Fitto, sarà anche colpa di Laricchia, Lezzi e tutti quei salviniani (inconsapevoli?) che stanno anteponendo la loro comica vanagloria al bene di una regione. E di un Paese intero.
Andrea Scanzi
Duri e puri Il totem della coerenza non fa vedere i pericoli alle porte
Chi non vive la politica come compromesso personale o abitudine all’intrallazzo prova disincanto nei confronti di questo voto in Puglia. Io stesso ho interesse nei confronti dei 5Stelle, ma col tempo hanno abbandonato molti temi delle origini e qui hanno fatto compromessi su temi delicati come il Tap e l’Ilva. Non è un caso che in questa campagna elettorale tutti si siano tenuti alla larga dall’Ilva, perché sanno che meno se ne parla e meglio è, essendo una questione ormai in mano all’economia mondiale più che alla politica. Detto questo, mi metto nei panni dei grillini e so che il voto disgiunto non è il massimo. Ma in politica a volte si fanno alleanze anche tra forze diverse per scongiurare un rischio grave. Questa visione sana, purtroppo, sfugge a chi fa della coerenza un fatto assoluto e non riesce a vedere il pericolo di aprire le porte pure al Sud alle parole d’ordine della destra di Salvini e alla sua politica becera.
Alessandro Marescotti