“Hai mai visto un movimento rivoluzionario guidato da un’ottantaquattrenne?”, mi chiese non molto tempo fa Hanan Ashrawi, una delle donne simbolo di Fatah, deputato, già ministro della Cultura, fine linguista insignita di prestigiosi riconoscimenti nel mondo, dalla Legion d’Onore francese al premio Olof Palme e undici lauree honoris causa negli Stati Uniti. La domanda è legittima perché anche nella “vecchia guardia” di Fatah si è fatta strada la convinzione che per la causa palestinese bisogna cambiare marcia – che gli eventi stanno sopravanzando e che la leadership di Ramallah abbia fatto il suo tempo. Dopo la firma con i nuovi alleati arabi, del Golfo ora la mossa di Stati Uniti e Israele è quella di isolare l’Autorità palestinese di Mahmoud Abbas.
Abu Mazen, venne eletto nel 2004 e il suo mandato scadeva nel 2009, poi si è andati avanti di proroga in proroga, citando l’impossibilità di tenere elezioni anche nella Striscia di Gaza che nel frattempo col governo di Hamas si era “staccata” dalla Cisgiordania.
I tempi sembrano oggi maturi per Abu Mazen, che peraltro ha anche qualche problema di salute e la fronda contro il presidente imbarca nuovi sostenitori ogni giorno. È un fiume carsico, perché nonostante quella sua aria da nonno buono, Abu Mazen è spietato con i suoi oppositori, liquidati spesso con l’accusa di tradimento o di tramare contro l’Anp.
Sono almeno una decina gli uomini di Fatah che ambiscono a sedersi al suo posto nella Muqata di Ramallah. Giovani Leoni e Vecchia Guardia. In pista ci sono nomi di peso della galassia palestinese. Nasser Al Kidwa, nipote di Yasser Arafat ed ex ministro e ex ambasciatore dell’Anp all’Onu. Jibril Rajoub, attuale presidente del Comitato Olimpico palestinese ed ex capo dei servizi segreti in Cisgiordania. Il generale Majdj al Faraj, già capo della Preventive Security palestinese.
E naturalmente Mohammed Dahlan, il sessantenne potente ex delfino di Arafat ed ex capo della Preventive Security nella Striscia di Gaza, ora rifugiato nel Golfo Persico, sostenuto anche da Egitto e Arabia Saudita. Ed è su di lui che si stanno puntando le attenzioni degli Stati Uniti di Donald Trump come possibile futuro leader palestinese.
“Ci stiamo pensando, ma non abbiamo alcun desiderio di costruire la leadership palestinese”, ha detto David Friedman, inviato americano in Israele, in un’intervista a Usa Today. Ma non è un segreto che ci sono elementi all’interno dell’Amministrazione statunitense che sostengono Dahlan per accelerare l’uscita di scena di rovesciare Abbas come presidente della Palestina. Negli anni in cui comandava la sicurezza a Gaza, Dahlan ha avuto modo di avere stretti rapporti di collaborazione con gli Usa, è amico personale dei Clinton e di un paio di ex direttori della Cia. Parla anche un ebraico fluente, appreso durante i suoi 11 soggiorni in gioventù nelle carceri israeliane.
La scure di Abu Mazen si è abbattuta su di lui con l’espulsione da Fatah e la denuncia di tradimento nel 2015 e per evitare l’arresto l’ex delfino di Arafat si è rifugiato negli Emirati, dove ha avviato una fiorente attività imprenditoriale ed è tra i consiglieri più ascoltati di Mohammed Bin Zayed al Nayan, l’erede al trono dell’Emirato.
Il gossip sostiene che sarebbe stato proprio lui uno dei mediatori della recente intesa diplomatica fra gli Emirati e Israele. Dahlan è un uomo d’affari e di relazioni, il suo seguito è ancora forte specie negli apparati di sicurezza palestinesi. Oggi gli uomini del “blocco di riforma democratica”, il movimento da lui ispirato, non riconoscono più in Abbas il loro presidente.
Dahlan è anche sotto il tiro della Turchia – che ha messo su di lui una taglia da 5 milioni di dollari – per un suo presunto coinvolgimento nel golpe che nel 2016 voleva rovesciare il presidente Erdogan. Nonostante sia assente sulla scena da diversi anni Mohammed Dahlan gode della fiducia indiscussa degli uomini che hanno lavorato con lui in passato e anche nella Gaza amministrata da Hamas non c’è foglia che si muova a Khan Younis – il più grande campo profughi della Striscia – che lui non voglia. Come un raìs, o quasi.