Durante i mesi del lockdown ho deciso che avrei arredato la casa in uno stile che potrei definire Bohémien. Quindi tessuti etnici, lucine appese al soffitto, macramè da parete e cuscini marocchini. I negozi erano ovviamente chiusi e quindi compravo gli arredi online oppure li cercavo su siti e social per poi aspettare la riapertura dei magazzini. Da circa sette mesi, ogni volta che apro Internet, ho la sensazione di vivere nella medina di Tunisi, in una specie di realtà parallela in cui tutti arredano casa come la mia, mi propongono soprammobili perfetti per il comò balinese, quadri col volto di Frida, teste di zebre da usare come ferma-porte, una realtà in cui è bandito il minimal e lo shabby chic è tramontato per sempre. La verità, naturalmente, è che i loft bianchi continuano a esistere, ma gli algoritmi hanno deciso che io con i faretti da incasso non c’azzecco nulla e che quel mondo non deve interagire con me. Ecco, le bolle sui social si creano più o meno così. Tu ti convinci che il tuo mondo somigli al mondo di fuori e che le persone abbiano tutte il letto uzbeko come te e invece no. Tu ti convinci che tutti voteranno No al referendum e invece vince il Sì.
Era divertente, nonché sociologicamente interessante, nei giorni scorsi, leggere il fermento su twitter per il referendum alle porte. Nella bolla più elitaria ed ermetica del web (twitter), a seguito del voto, i parlamentari sembravano destinati perfino ad aumentare. Sembrava che i No sarebbero stati così tanti che il rapporto tra eletti e cittadini sarebbe diventato 1,57 cittadini ogni 100mila parlamentari. Direttori di siti senza lettori e di quotidiani senza sentori, giornalisti col tweet compulsivo, intellettuali da 280 caratteri, deputati-influencer, anti-bandierini e circoletti auto-referenziali hanno twittato per giorni #iovotono, dandosi ragione a vicenda, linkandosi, retwittandosi, cuoricinandosi, laikandosi e allargando la bolla così tanto, da convincere tutti, nel mondo parallelo di twitter, che la croce sul no fosse una mera formalità. Nel frattempo, bastava chiedere la bar sotto casa quale fosse l’orientamento di voto e si sarebbe scoperto che la cameriera e il proprietario erano per il sì e la cassiera ci stava pensando, ma vuoi mettere quanto è eccitante misurare la realtà con i cuoricini su twitter? O, meglio ancora, con i sondaggi su twitter? Emblematico in tal senso quello del direttore del Foglio Claudio Cerasa, che il 18 settembre chiedeva ai twittaroli: “Mini sondaggio da bolla. Referendum: sì o no?”. Il risultato, con 10.568 votanti, dava il No all’86%, il Sì al 14%. Se ne potrebbe dedurre che Cerasa e i suoi seguaci su twitter siano stati risucchiati da un quadro con scene di caccia al fagiano e vivano in una dimensione parallela, in un altro quadrante della galassia e che ogni tanto lui torni di qua, per un’ospitata dalla Merlino, tramite stargate. Pietro Raffa, esperto in strategia digitale, il 19 settembre, sempre su twitter, scriveva: “A grande richiesta ecco i risultati finali del dibattito online sul referendum, sono compresi tutti i social: 623.000 No e 148.000 Sì. In Rete la mobilitazione per il No ha stravinto!”.
E magari quei 623.000 hanno tutti il letto uzbeko come il mio, in camera. Sono gay. Guardano Propaganda Live. Bloccano i bandierini su twitter. Hanno messo il cuore a Liliana Segre che vota No, retwittano Luciano Nobili e vedono i documentari su Netflix. Sono la grande bolla. O la grande balla. Ma c’è chi, di fronte alla sconfitta di Twitter, ha la chiave di lettura giusta: “Per il Sì hanno dato indicazione di voto partiti che rappresentano oltre l’85% dell’elettorato, il No ha preso il 30% dei voti. La “bolla” Internet è forte e sarà determinante!”, twitta uno dei marziani. Uno degli unicorni alati. E voglio dire, si prova perfino tenerezza. Si vorrebbe aprire un varco spaziotemporale e portarlo di qua, quest’uomo, questo unicorno, dove la gente capisce con un po’ di anticipo che i 100.000 seguaci di Scalfarotto su twitter si tradurranno nel 2% alle urne. E che se la docufiction sul salotto letterario del mecenate tedesco Hans Goritz da Treviri è trend topic su twitter, il giorno dopo non avrà battuto Temptation Island negli ascolti. Lo racconta molto bene il documentario del momento, The social dilemma, il quale spiega la bolla in maniera molto semplice: dopo un po’, sui social, non vedi più il mondo per quello che è, ma per come te lo sei costruito intorno. Ecco, finché poi non si va a votare con la matita, anziché con un like.