Ieri quella caricatura vivente di
Boris Johnson, la cui lucidità politica è pari a quella del suo barbiere, ha detto che gli inglesi – a differenza degli italiani – amano la libertà. È lo stesso Johnson che, a inizio marzo, mentre noi soffrivamo e morivamo, straparlava di “immunità di gregge” esaltando negazionisti & dementi simili. Di lì a poco sì beccò il covid è per poco non ci restò secco. Per fortuna è guarito, per sfortuna è rimasto politicamente inetto. Come
Trump, come
Bolsonaro e come quasi tutti i sovranisti torsoli. Oggi gli ha risposto Sergio Mattarella: “Anche noi italiani amiamo la libertà, ma abbiamo a cuore anche la serietà”. Gioco, partita e incontro. Ringraziamo Iddio di avere un Capo dello Stato così lucido, serio e perbene.
Ce la prendiamo sempre con la politica, ma spesso (sempre?) è anche colpa di chi vota.
Lui è Fabio Altitonante. Consigliere regionale di Forza Italia in Lombardia, sotto accusa nell’inchiesta “Mensa dei poveri” della Dda di Milano insieme a decine di imprenditori e politici, soprattutto di Forza Italia.
A maggio del 2019 è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione, finanziamento illecito e falso. Tra i fatti che gli venivano attribuiti, quello di aver ricevuto 20mila euro dall’imprenditore Daniele D’Alfonso per facilitare una pratica edilizia. Ai domiciliari è rimasto tre mesi, prima di essere scarcerato per decorrenza dei termini dopo che il Tribunale del Riesame ha derubricato l’ipotesi di corruzione in traffico di influenze illecite.
Il processo sta andando avanti a Milano.
Ecco: Altitonante è appena stato eletto sindaco di Montorio al Vomano, in provincia di Teramo, il comune in cui è nato 46 anni fa. Anche la Gelmini si è mobilitata personalmente per la sua elezione. Altitonante dovrà ora dividersi tra il comune in cui è sindaco e Milano, dove è appunto consigliere regionale (sotto processo). Una condanna in primo grado porterebbe a una sua sospensione e al commissariamento, ma questo al 44.21% dei suoi concittadini non ha fatto perdere la voglia di votarlo.
Ammettiamolo: fermo restando la presunzione d’innocenza, a tanti italiani la politica va bene così. E i risultati si vedono.
Se l’antifascismo viene sconfitto
In Toscana possiamo esultare per lo scampato pericolo, ma i dolori sono tanti.
Guardate queste due notizie: a Sant’Anna di Stazzema e a Civitella in Val di Chiana, teatri di due dei più tremendi eccidi nazifascisti, ha vinto la Ceccardi.
La trovo una notizia terrificante.
La Ceccardi aveva così parlato durante la campagna elettorale: “Io non sono fascista né antifascista. Sono dalla parte dei temi”. Per lei essere oggi “antifascisti” non ha senso.
Non solo. Nel 2018, quando era sindaco di Cascina, la Ceccardi volle celebrare la Festa della Liberazione includendo una parata di SS per la città. Lo fece, disse lei, per dare “uno sguardo alto e distante, ma comprensivo”. Da allora non ha cambiato idea.
Siamo messi molto male, se una così vince in due luoghi così belli e così feriti come Sant’Anna di Stazzema e Civitella in Val di Chiana.
Queste due qua sono una coppia comica straordinaria. Hanno detto fino all’ultimo che potevano vincere, perché avevano dei “sondaggi segretissimi” che lo attestavano, e a fatica hanno superato il 10. Hanno operato pervicacemente (e spero involontariamente) contro il governo nazionale, cantandosela e suonandosela venerdì scorso a Bari in uno dei punti più bassi nella storia della politica mondiale. Un comizio volgare, indecente, scellerato.
Ma il massimo è la loro attuale analisi del voto. Non solo minimizzano una sconfitta (l’ennesima per Wonder Waterloo Lezzi), ma in qualche modo esultano pure.
La Laricchia ha detto: “Visto? Il voto disgiunto non c’è stato, infatti io ho più preso voti della lista”. Giuro: l’ha detto davvero! E certo che non c’è stato il voto disgiunto, fenomeno. Più che altro non c’è stato proprio il voto per i 5 Stelle!
Te lo spiego meglio, Laricchia, perché con te bisogna partire dai fondamentali. Dal “voto disgiunto”, in Puglia si è passati direttamente al “voto utile”: al voto diretto per Emiliano. Gli elettori sono scappati da te, dal tuo progetto, dalla tua vanagloria. Hai fallito su tutta la linea.
I numeri sono chiari. Emiliano era dato attorno al 40% o poco meno, la Laricchia al 18%. Emiliano ha preso il 46, Laricchia l’11%. Significa che negli ultimi giorni un 7% di potenziali elettori grillini NON ha votato Laricchia per convergere direttamente su Emiliano. E mi gioco le palle, entrambe, che ciò è successo anche perché molti hanno condiviso ciò che hai garbatamente definito “disinformazione di Travaglio e Scanzi” (grazie!).
Avete preso uno schiaffone in piena regola, ma fate finta di nulla e addirittura rilanciate. Mai uno straccio di autocritica, mai uno straccio di realismo. Stavate per regalare la Puglia e Fitto e avete ancora il coraggio di parlare. Di pontificare. Di insegnare. Tutti uguali, voi presunti duri&puri.
Via, su, statiste mie: fate un ultimo sforzo. Telefonate ad Alice Salvatore, mettete insieme qualche altro integralista a casa e fondate il PTI: Partito Talebani Italiani. Magari, con un po’ di fortuna, allo 0.7% ci arriverete. Per poi salvare il mondo. Daje!
Ve la ricordate Alice Salvatore? No, ovviamente. Vi aiuto io. Fino a pochi mesi fa era la reuccia grillina in Liguria, e questo di per sé è già tremendo. Nel 2015 ottiene il 24,85%, piazzandosi terza dopo Toti e Paita. Per lungo tempo è capogruppo in consiglio regionale, ingaggiando rumorosi duelli in aula con Lilli Lauro e Paita. Intollerante alle critiche, lancia strali vibranti contro il Fatto Quotidiano, reo (tramite Paola Zanca e Peter Gomez) di avere fatto troppe domande scomode a Luigi Di Maio sul palco della Festa della Versiliana.
Se la critichi sui social, ti arriva la rappresaglia di alcuni suoi sparuti fan agguerritissimi, tra cui un ex galeotto “simpatizzante” grillino che si è fatto 5 anni di galera, prima per aggressioni ai tifosi del Verona e poi per possesso e traffico di droga (300 grammi di cocaina). È uscito per indulto nel 2006. Tale intellettuale, che passa la vita a bastonare sui social chi non è talebano come lui (e Alice), si è fatto anche ritrarre accanto a Salvatore e all’ex consigliere De Ferrari, durante un allegro viaggio in auto della combriccola da Genova in Basilicata.
L’ex carcerato dice pure di avere ispirato Crozza per la figura di Napalm51. Son soddisfazioni.
Ma torniamo ad Alice Salvatore. Il M5S inizia a stringere alleanze nazionali. Su Rousseau la “base” la sceglie come candidata per le regionali, ma il suo partito si accorda col Pd. E lei esce sbattendo la porta.
Non solo. Fonda un movimento tutto suo, perché ormai “il M5S è diventato un brand” e “non ho apprezzato e compreso il “vaffa” che Beppe Grillo dal palco di “Italia a 5 Stelle” ha dedicato a settembre a chi del M5S non voleva andare con il Pd, mi ha molto colpito l’abiura di Beppe”.
Si va quindi al voto, e la Liguria tutta è costretta a transennare i seggi. Milioni di donne e uomini si spintonano per votare il mitologico movimento di Alice, che peraltro si chiama “Buonsenso”. Come se Gasparri fondasse un partito e lo chiamasse “So’ figo”.
Risultato? La Salvatore, alle Regionali, prende un tonitruante 0.89%. Un successone.
Non c’è depravazione politica più ottusa del talebanismo. Ancor più se malamente adolescenziale.
La speranza è che la simpaticissima “Alice nel paese dei duri&puri”, magari insieme alle Laricchia & Lezzi, fondi al più presto il PTI: Partito Talebani Italiani (o se preferite Inutili). Sarebbe la più esilarante, nonché più minuscola, bad company del Belpaese.
Renzi sta esultando per i risultati di Italia Viva, è questo fa molto ridere. O piangere, fate voi, se pensate al suo totale fallimento in Veneto, Puglia e Liguria (ma pure in Toscana).
I renziani più ortodossi esultano, soprattutto, per il 6% in Campania. Che non è poco. Analizziamo questo risultato osservando anzitutto il Comune di Sant’Antimo. È in provincia di Napoli ed è stato sciolto per camorra. È il comune dove è nato Luigi Cesaro, detto Giggino a’ purpetta. La sua storia politica, e giuridica, immagino la conosciate.
A
Sant’Antimo, Italia Viva è risultato il primo partito con il 18.2%. Foto 2 e 3. Un exploit clamoroso.
Il 9 agosto, il sito Anteprima24 ha raccontato: “Sarà candidato nella lista di Italia Viva Domenico Russo, figlio di Aurelio, ex sindaco di Sant’Antimo, comune in provincia di Napoli sciolto per camorra. Il nome di Russo, inizialmente inserito tra i candidati del Pd, aveva creato polemiche nella coalizione che sostiene Vincenzo De Luca. Ora per Russo jr si aprono le porte di Italia Viva grazie alla mediazione della parlamentare Michela Rostan”.
Il sito Anteprimadi, l’11 luglio, così ha ricostruito: “Come ampiamente annunciato da Cronache, il progetto “Forza Italia Viva” entra nella fase attuativa. Basta unire i puntini: il capogruppo di Iv in Senato Davide Faraone che presenta un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede in difesa di Silvio Berlusconi sul caso della condanna Mediaset, il senatore di Fi Luigi Cesaro che candida il fedelissimo Pietro Smarrazzo nella lista di Iv in sostegno del renzianissimo Vincenzo De Luca alle Regionali in Campania, il berlusconiano Aldo Patriciello che aiuta l’amica Flora Beneduce in favore del governatore uscente, il renziano Ivan Scalfarotto che si candida alla presidenza della Puglia contro il dem Michele Emiliano a tutto vantaggio di Raffaele Fitto, berlusconiano ‘prestato’ a Fratelli d’Italia per convenienza elettorale, il sindaco renziano di Caserta Carlo Marino che si mette in giunta la berlusconiana Adele Vairo, provocando la rivolta del gruppo Pd in consiglio comunale e via dicendo”.
Infine Teleischia, che il 26 luglio scriveva: “Armando Cesaro (figlio di Luigi), nonostante l’annuncio di non presentarsi alle prossime regionali, è sempre più deus ex machina dello svuotamento delle liste di Forza Italia, non solo in Regione ma anche nei vari Comuni al voto (..) Sta nascendo Forza Italia Viva. Da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi, Cesaro Jr sta mettendo in atto una sorta di patto del Nazareno in salsa santantimese (..) Ad Italia Viva è passato Pietro Smarrazzo, braccio destro di Cesaro Jr. sin dai tempi delle elezioni universitarie. Ad un passo da Italia Viva vi è anche Pasquale Bove, vicinissimo ad ufficializzare la candidatura tra i renziani. Il medico mugnanese non ha mai nascosto i buoni rapporti con i Cesaro (..) In Italia Viva Smarrazzo e Bove non soffriranno di saudade berlusconiana. Visto che troveranno gli ex Forza Italia Gabriele Mundo, Francesco Iovino, Carmine Iazzetta e Francesco Guarino, quest’ultimo staccatosi da Fulvio Martusciello di cui era considerato un fedelissimo (..) Cesaro era stato definito un passo di lato, utilizzando termini calcistici è entrato a gamba tesa nelle scelte dei candidati sindaco del centrodestra in diversi comuni della provincia di Napoli”.
Infine Nello Trocchia, che su Domani ha così riassunto: “I Cesaro sono una famiglia potente e influente, capace di muovere migliaia di voti. Ex berlusconiani e fedelissimi dei Cesaro sono passati con il centrosinistra e con Italia Viva.
Tra i casi più noti quello di Ernesto Sica, Pietro Smarrazzo e Pasquale Bove. Smarrazzo è amico storico dei Cesaro, ha raccolto 6mila preferenze. In tutto, solo considerando gli ex azzurri che hanno cambiato casacca, si arriva a circa 50mila preferenze”.
Ovviamente, e sia chiaro, tutto questo è del tutto giuridicamente lecito. Il dato è meramente politico: la sensazione, ed è quello che ho sempre scritto, è che Renzi abbia un’idea politica dichiaratamente e ostentatamente berlusconiana. E questa transumanza campana da Forza Italia a Italia Viva lo dimostrerebbe.
Renzi e i suoi mi perdoneranno, se la mia idea di politica è radicalmente diversa.
“Contro tutti i pronostici, contro i nostri stessi stati d’animo, contro molti dirigenti dei partiti coinvolti e una parte dei loro elettori, sicuramente contro l’opinione di tutti tutti tutti gli analisti politici dei giornali e della tv – salvo poche, pochissime e patriottiche eccezioni – nelle urne si è affermata una prospettiva politica. Uno schieramento capace di battere la destra e disegnare un nuovo bipolarismo, dando fra l’altro al paese la serenità necessaria ad affrontare una fase difficile (..)
Non è esatto dire, come da titolo odierno di Repubblica, che “il Pd ferma Salvini”. Salvini e la destra sono stati fermati, almeno nel loro dilagare e purtroppo non ovunque, da un progetto politico che sta troppo lentamente, ma più velocemente dal basso che negli accordi di vertice, facendosi strada. Ovviamente molto merito è del Pd, ma senza gli articoli militanti del Fatto quotidiano, senza il trasversalismo di una consapevolezza che cresce circa la necessità di dare forza a una proposta, senza il coraggio di posizioni contropelo come quella affermata un po’ a forza da Zingaretti e da Bersani sul referendum, ieri sera quelli come me non sarebbero andati a dormire di buonumore (..)
La giornata di ieri, le vere e proprie assurdità che abbiamo sentito in tv (stendo un pietoso velo, perché con chi vive su un altro pianeta è impossibile anche litigare, non dico capirsi), come più umilmente le reazioni al mio tweet, comprese quelle di autorevoli firme che mi accusano nientemeno che di “instabilità mentale”, dimostrano che c’è un livello di insofferenza per questa prospettiva politica e un grado di incomprensione troppo forti di quello che pensa e che vuole la gente in questo paese (..) Il mio temerario tweet quindi non era l’adesione a un partito Scanzi-Travaglio che nemmeno esiste, e non significava neanche che io, Scanzi e Travaglio siamo uguali. Significava che da soli, noi di sinistra, non saremmo neanche in partita, e invece ci siamo. E questa sia chiaro non è una critica a un Pd che non ha affatto “fermato Salvini” da solo, ma anzi un apprezzamento per un gruppo dirigente che riconosce che non basta e anzi fa danno un Pd isolato intento a mostrare i muscoli. Tantomeno è un tentativo di arruolare due giornalîsti che ho già messo in suffìciente imbarazzo. Ho detto Scanzi e Travaglio come metafore, ok?
Non è un traguardo peraltro, è un punto di partenza. Restiamo ampiamente sotto ciò che è necessario che siamo, dopo ieri. Ma almeno a quanto pare abbiamo un popolo che ci indica la strada e cammina con noi”.
Zinga. Trattato come un mezzo bischero (anche da qualcuno dei suoi), porta a casa tutto quello che poteva portare. E se gli avessero dato retta, avrebbe(ro) vinto anche nelle Marche. Qualcuno, nel Pd, sperava che Zinga fallisse per poi puntare di nuovo su Renzi via Bonaccini. Ci siete o ci fate? Zinga non ha carisma, ma sta facendo quel che può. E quel che deve. Lasciatelo lavorare (cit).
Di Maio. Stravince il referendum e festeggia in silenzio le vittorie del Pd in Toscana e Puglia, così nessuno accuserà i 5 Stelle di avere sabotato gli alleati. Non poteva andargli meglio e, tra i big M5S, pare per distacco il più efficace. Si è speso per trovare un accordo in Marche e Puglia, venendo respinto con perdite. E’ stato però troppo nascosto nei giorni finali sul voto utile, quando doveva esporsi di più e invece si è limitato a sperare nel buon senso (poi verificatosi) degli elettori. Rischiare di far cadere il governo nazionale per non urtare la sacra suscettibilità delle Laricchia è stato un po’ paradossale.
Pd. Vedi alla voce Zinga. Continuino così, insistano sui decreti sicurezza (da smantellare), lavorino per una legge elettorale con sbarramento al 5% di ispirazione proporzionale. E seguano i dettami di Bersani: serve un nuovo campo progressista, con dentro Pd, M5S, sinistra radicale, società civile, radicalismo civico, eccetera. Chi non ci starà, potrà sempre ottenere il badge di “fan più attivo” sulla pagina Facebook della Lezzi.
M5S. Alle Regionali non hanno mai toccato palla e se corrono da soli sono irrilevanti. Ovviamente ridimensionati dal voto utile/disgiunto, espressione di profonda intelligenza da parte degli elettori (grillini e non solo grillini), adesso devono credere davvero in un’alleanza organica col centrosinistra. Cosa che, peraltro, è stata votata anche dalla base M5S sulla piattaforma Rousseau. Il banco di prova saranno già le Comunali del 2021 (Roma e Torino). Prim’ancora, la tenuta di governo. Queste continue fibrillazioni hanno rotto le palle. E se qualcuno non vuole starci, può sempre mettere un like a caso in quel che resta degli strali mosci della Laricchia.
Grillo. Il M5S segua lui. E’ l’unica strada per non morire. Più esattamente, è l’unica strada per non consegnare il paese alle destre.
Conte. Ad ogni elezione lo danno per morto. E lui ne esce sempre più forte. Ha la fortuna di avere detrattori non di rado dementi, eunuchi e tendenzialmente mentecatti. Ora è più forte: prenda a “capaccioni” Renzi quando alza la cresta (o la pappagorgia). Plachi il Pd su questa messa cantata del Mes. E invada la Polonia ascoltando Wagner ogni volta che qualche talebano grillino comincia a smerigliargli, e smerigliarci, le gonadi.
De Luca. Dominus indiscusso della Campania. E non riesco a ritenerla una notizia per cui far cortei.
Zaia. Se la Lega non è demente, e per me non lo è, a breve punterà tutto su lui e getterà Salvini nell’umido della politica. Puntare sul Cazzaro Verde quando hai in casa un leader in grado di convincere (molto di più) anche i moderati, è davvero roba da citrulli spinti.
Meloni. Vince, ma non stravince. Sfonda nelle Marche, vive la mitraglia esilarante in Puglia. E in Toscana ha messo malinconia vederla tirare la volata (sbraitando come sempre) alla Ceccardi. E’ molto più abile di Salvini, ma si accontenta di poco.
Salvini. Il grande sconfitto di questa tornata. Dal Papeete 2019 in poi le ha sbagliate tutte. Sognava il 7-0, è finita 4-3 e il governo oggi è molto più forte di ieri. Zaia lo sta surclassando, Meloni lo sta sabotando, Giorgetti lo sta lasciando. Una prece.
Di Battista. Disastro totale. Il suo suicidio a Bari, ridotto a far da chiama-applausi a tal Lezzi & Laricchia, è stato straziante. Anzitutto per chi gli vuol bene. Sembra ostaggio di una mitologica vignetta di Altan, quella che diceva: “Mi piacerebbe sapere chi è il mandante di tutte le cazzate che faccio”. Ripijate, Dibba.
Laricchia. Poraccitudine talebana allo stato brado. Ha incarnato il delirio personalistico di chi, in nome di un duropurismo malsano e perverso, è disposto a distruggere tutto (anche il governo!) pur di assecondare la sua comica vanagloria. Poteva arrecare danni incalcolabili al paese, ma per fortuna è stata sanguinosamente triturata dagli elettori. Un autodafé meraviglioso. Daje Antone’!
Lezzi. Peggior ministra per distacco del Salvimaio, peggior dissidente del M5S, sorta di Maria Michela Giarrussa in salsa biondo-salentina. Quel che tocca, implode. Rimpiange Salvini, non ne becca mezza, non porta voti. Un genio. Paragone la aspetta.
De Benedetti. “L’Ingegnere” preferisce Berlusconi a Conte (e Di Maio), sogna un’informazione “libera” (cioè obbediente ai suo ordini) e dice che nel paese c’era una grande voglia di “no”. Eccome. Per esempio una gran voglia di dire “no” a certa informazione che ragiona per partito preso e non ne becca mezza neanche per disgrazia.
Giachetti. Quel che tocca, diventa Giachetti.
Sansa. Ha fatto anche troppo.
Scalfarotto. Ahahahahahahahahah.
Santori. Colpevolmente sopravvalutato fino a pochi mesi fa, dopo la vittoria in Emilia Romagna ha sbagliato tutto. Ma tutto, eh. Le foto con Benetton, l’autobiografia agiografica che si è scritto da solo nella pagina delle sardine, la battaglia fallimentare per il no, la fuga dalla piazza perché non c’era nessuno e non voleva metterci la faccia. Eccetera. Le Sardine portano spesso belle istanze, ma oltre agli slogan c’è poco. E ‘sto Santori è contenutisticamente improponibile, dai.
Renzi. Italia Viva si è rivelata Italia Morta, e lo sapevano tutti tranne lui. Sotto il 5 nella sua Toscana, sotto il 2 in Puglia e Liguria, sotto l’1 in Veneto. Leggenda pura. Renzi e renzismo non esistono più. Vamos.