I primi a dare forfait furono i Pink Floyd, stanchi dei silenzi dell’Azienda autonoma di Turismo, e a ruota seguirono i Led Zeppelin (che concessero solo il logo per il manifesto) e i Rolling Stones. Ma sul palco della Favorita di Palermo, Aretha Franklin, recuperata in albergo ubriaca e spedita al microfono, e Duke Ellington, insieme a Tony Scott e Johnny Halliday, e alle star nazionali, da Bobby Solo ai Ricchi e Poveri, a Little Tony e alle giovanissime Loredana Bertè e Giuni Russo, allora con il suo vero nome Giusy Romeo, riuscirono a realizzare il miracolo voluto da Joe Napoli, manager italoamericano originario di San Giuseppe Jato: trasformare per tre giorni il capoluogo siciliano in una Woodstock mediterranea, davanti le telecamere di sette emittenti europee (e una brasiliana).
Sex, drug e rock and roll nella Palermo cupa dell’inizio degli anni ’70, mentre l’Italia, devastata da piazza Fontana (dicembre ’69), era già entrata negli anni di piombo, e la città avrebbe celebrato due mesi dopo l’elezione di Vito Ciancimino, il primo sindaco mafioso: quell’happening di 80 mila palermitani alla scoperta di amore e musica, oggi rievocato nel bel libro Quando Palermo sognò di diventare Woodstock (Navarra editore) di Sergio Buonadonna, già capocronista al giornale L’Ora e poi al traguardo di carriera a capo dei servizi culturali del Secolo XIX di Genova, ebbe l’effetto di una parentesi magica, una festa di liberazione collettiva di una Palermo appena sfiorata dal vento del ’68 che aveva attivato neuroni e portato minigonne, alimentando sogni di trasgressione che l’immaginazione aveva amplificato: il celebre documentario di Woodstock, cui aveva lavorato anche Martin Scorsese, non era ancora arrivato in Italia, e ci si doveva affidare ai racconti di Napoli e di Silvana Paladino, di ritorno dall’happening americano.
Ma fu anche un pugno nello stomaco a una città chiusa nei circoli elitari del potere e disincantata nelle borgate e nelle periferie dalla brutale aggressione politico-mafiosa al territorio, fino a illudere una generazione di sinistra fricchettona che sulle note del Duke, i suoi sogni di trasgressione e libertà, infranti sei anni dopo a Parco Lambro, a Milano, potessero coinvolgere i giovani proletari palermitani, reclutandoli alla causa di Marx.
In realtà, come ha detto lo stesso Buonadonna presentando martedi scorso il libro a Palermo, quei giovani della “città che si veste male” (ma non solo loro), cercavano “scagghiola”, efficace metafora lessicale per definire l’approccio con l’altro sesso. Questo non tolse pathos, sorprese e perfino scandalo al festival, da quello astutamente atteso dal manager Napoli, dello spogliarello integrale di Arthur Brown, in ossequio alla sua filosofia della purificazione del corpo attraverso il fuoco, immediatamente prelevato e denunciato dall’allora commissario Boris Giuliano, che sul contrasto al traffico internazionale di droga ci lascerà la vita, ucciso in un bar dal boss Leoluca Bagarella. E di un’altra trasgressione (per quei tempi), questa volta dietro le quinte, non si ebbe per poco una prova visiva: l’obbiettivo del fotografo dell’Ansa Nino Sgroi, ha rivelato l’autore, sorprese una starlette impegnata in camerino in un blow job con due musicisti di Duke Ellington ma il suo dito non scattò quella foto. Se fu imbarazzo o deontologia, non lo sapremo mai.
Seguì la stessa sorte di Arthur Brown, trascinato dal commissario Arlotta in questura, il cantautore siciliano Franco Trincale, che in quegli anni cantava nelle fabbriche con gli operai, “colpevole” di avere gridato al microfono “Nixon boia”, parole uguali a quelle incise nei suoi dischi allora venduti in tutta Italia. Era originario di Militello Val di Catania, compagno di classe di Pippo Baudo (“in chiesa lui suonava l’organo e io cantavo”) e al paese natio oggi gli è stato dedicato un museo. “È forse per non oscurare Baudo – ipotizza Buonadonna – che hanno prima accettato e poi rifiutato una presentazione del libro a Militello”.
E spinto dalla sua carica di umanità dietro le quinte arrivò pure Mauro De Mauro, il giornalista de L’Ora che sarebbe rimasto vittima della lupara bianca due mesi dopo: aveva accompagnato un pittore, sfortunato e spiantato, desideroso di regalare un proprio quadro a Duke Ellington.
Tre mesi dopo Palermo elesse sindaco Ciancimino, Joe Napoli tentò per due anni di replicare il festival, ma i fallimenti successivi consegnarono alla storia l’unicità del Pop ’70.