Donna, Ariete, 39 anni (compiuti in pieno lockdown, uno dei compleanni più belli di cui abbia memoria. Io, una bottiglia di barbaresco e mille amici lontani ma più vicini che mai).
Un lockdown immerso nel workout, nella cucina, nelle chiacchiere con gli amici, nei libri, nei film, in infiniti confronti con altri professionisti del settore.
Tutto questo nel timore di un lungo stop professionale (rispetto alla mia attività di manager/produttrice di live), con annessa rimodulazione di due tour (italiano ed europeo) e successivo annullamento di uno dei due (europeo).
Finito il lockdown principale, maggio per intenderci, ho tirato fuori le unghie – mai esempio fu più sbagliato… me le sgranocchio da quando ho 6 anni – e insieme a Niccolò (Fabi, di cui curo il management da 7/8 anni circa) abbiamo deciso di trovare una formula per questa estate 2020, nella speranza di trasmettere un messaggio non solo musicale e culturale, ma anche sociale e in un qualche modo politico.
Ho chiamato la commercialista, l’avvocata e l’agenzia di booking… ed eccoci qui.
Più di 30 appuntamenti, migliaia di km in auto, pochi treni e pochi voli, ammetto, se non per mancanza di alternative.
Una carovana di musicisti e tecnici, misurata sulle necessità, le capienze e le realtà selezionate.
Abbiamo incontrato piccole associazioni, nuove realtà e partner con cui si collabora abitualmente.
Occhi spesso complici, spesso spaventati, a volte gioiosi. Tante le parole sul futuro e sulla voglia e il bisogno di non fermarsi.
Abbiamo incrociato un’Italia che ci sta provando, che sta resistendo, immersa nelle solite contraddizioni, tante, troppe.
In questi mesi di viaggi solitari mi è stato chiesto di raccontare la mia esperienza di donna che lavora nel music business per poi provare a fare un’analisi sulla situazione generale del comparto.
Non è semplice, senza voler cadere nei luoghi comuni, perciò provo a fare una piccola analisi partendo da me.
Da ormai 9/10 anni sono una libera professionista e imprenditrice e non sono all’interno di dinamiche aziendali, dinamiche che spesso evidenziano in modo più marcato le differenze di trattamento e di percorso professionale.
Ammetto che sono stati pochi i momenti in cui ho sentito quella discriminazione di genere evidente di cui mi parlano collaboratrici o amiche.
Quelle nascoste tra le righe per molto tempo sono state parecchie, soprattutto all’inizio del mio percorso professionale la combo “donna/giovane” fu una miscela esplosiva per cercare di tenermi un passo indietro.
Erano sempre uomini adulti a sminuire il lavoro, traducendolo a volte in un umiliante “gioca a fare la manager”.
Ho avuto e ho la fortuna di lavorare con un artista che mi ha scelta come manager/referente quando ero molto giovane, prescindendo dall’età e dal genere, ma basandosi esclusivamente sulla fiducia.
Sicuramente la stima che spesso gli addetti e le addette ai lavori hanno nei suoi confronti mi ha messa in una condizione privilegiata, la sua fiducia mi ha dato la forza necessaria per sentire le spalle robuste, pronte a sostenere pesi, tra cui quelli della misoginia, che voleva nascondersi tra le righe.
Riconosco di essere una piccola isola felice anche rispetto alle altre mie esperienze professionali.
Interagisco quasi sempre con uomini e donne che si comportano da professionisti e professioniste a prescindere dal genere.
Sono anche co-fondatrice di Off Topic, hub culturale della città di Torino, che vede sia nella governance che nello staff un virtuoso equilibrio tra uomini e donne, equilibrio nato naturalmente.
Ho la fortuna di avere un forte istinto di sopravvivenza che mi aiuta a evitare chirurgicamente, in modo quasi inconscio, luoghi che percepisco trasudare misoginia, spesso interiorizzata, a volte sfacciata.
Li evito, ma non nascondo mai il disappunto. Ho deciso di non accettare compromessi in questo senso e mi è successo di non accettare proposte di lavoro o consulenze perché percepivo atteggiamenti maschilisti o perché mi sono ritrovata, involontariamente, all’interno di dinamiche poco eleganti.
So di essere privilegiata nel potermi permettere un NO professionale, ma ritengo sia giusto che chi può rifiuti ambienti sbagliati, ovviamente esplicitando il perché del NO e non adducendo scuse diverse.
Il cambiamento passa attraverso l’educazione, processo che non si deve mai interrompere.
La strada da fare è molta e non si deve smettere di sollevare i coperchi, di parlarne, di sostenere e di sostenerci tra donne, di affiancarci a uomini intelligenti e di mescolare i pensieri.
Dobbiamo aiutarli e aiutarCI a eliminare dal linguaggio quelle battute di genere che a volte fanno parte di un intercalare. E dico CI perché spesso anche noi donne scivoliamo nel tranello del giudizio di colleghe, collaboratrici o cape, dimenticando quanto possa essere pericolosa una parola sbagliata in un momento di rabbia, quanto una nostra espressione misogina possa legittimare una modalità e delegittimare una professionista, per esempio.
Non dobbiamo temere di passare per nevrotiche o integraliste quando ci imponiamo sul linguaggio.
Dobbiamo sottolineare gli errori con pazienza, gentilezza e polso duro, nella quotidianità, nel privato (con amici, famigliari e non solo con i colleghi)… oltre ai proclami e alle lotte pubbliche.
Le donne che ricoprono ruoli chiave nel music business in Italia sono poche, ma questo è lo specchio di una nazione.
Sono però molte le donne che ci lavorano, tante assolutamente meritevoli di ruoli di maggiore responsabilità.
Quando ci si lamenta dell’assenza di un pensiero femminile dai panel, gli incontri pubblici etc… non lo si fa per quella che chiamano nevrosi o per le quote rose, argomento molto spinoso, (o meglio, io non mi lamento per questo motivo) ma perché nelle differenze è nascosta la ricchezza.
Sono da sempre una fan dell’equilibrio tra i pensieri maschili e quelli femminili. Da giovanissima ho militato in gruppi femministi da cui mi sono allontanata, per poi riavvicinarmi e allontanarmi di nuovo.
Per questo faccio molta fatica a riassumere il mio pensiero e ad averlo netto e definito.
Anche in questo le contraddizioni sono infinite.
E comunque… che splendore è poter sbagliare insieme? Maschietti… non vedete l’ora di addossarci la responsabilità di qualche errore?