Processo De Girolamo

Processo su Asl Benevento, per Nunzia De Girolamo il pm chiede 8 anni e tre mesi

2 Ottobre 2020

È arrivata in aula a requisitoria iniziata da un’oretta. Vestito sobrio, occhiali scuri, mascherina. Al termine dell’udienza, nel corso della quale la pm di Benevento Assunta Tillo ne ha chiesto la condanna a 8 anni e tre mesi di reclusione per associazione a delinquere e altri reati consumati tramite “una Asl asservita al suo potere politico”, sotto le lenti dell’ex deputata e ministra Pdl, Nunzia De Girolamo, qualcuno ha visto scorrere le lacrime. “Io so di essere innocente” avrebbe bisbigliato seminascosta in un capannello di avvocati. Se il Tribunale di Benevento presieduto da Daniela Fallarino le darà ragione o torto, è presto per dirlo, si saprà nei prossimi mesi. Ma la spada di Damocle di una condanna pesantissima non è l’unica brutta notizia di queste settimane per la moglie del ministro Francesco Boccia. La Rai le avrebbe congelato il suo programma su Rai1, titolo provvisorio Ciao Maschio. Le resterebbe la possibilità di tornare a fare l’opinionista a La7 da Massimo Giletti, a disquisire su temi di legalità e giustizia. A dispetto del suo status di imputata. In un processo dimenticato nelle nebbie invernali del Sannio. Quel processo, però, ora volge al termine e sarà difficile continuare a ignorarlo. Chi ha buona memoria ricorderà che riguarda l’inchiesta che costrinse De Girolamo a dimettersi da ministro delle Politiche Agricole del governo Letta. Un’inchiesta prima giornalistica, iniziata nel gennaio 2014 dal Fatto Quotidiano, e poi giudiziaria, che si è sviluppata dall’ascolto dei file audio portati in Procura da Felice Pisapia, ex direttore amministrativo dell’Asl di Benevento.

Nel 2012 Pisapia, che era sotto indagine per altri reati e iniziava a sentire puzza di bruciato e a vedere nemici ovunque, cominciò ad accendere di nascosto il registratore durante le riunioni che De Girolamo convocava a cadenza settimanale nella villa di famiglia con i suoi collaboratori e il gotha dell’Asl beneventana. Una cricca che il Gip Flavio Cusani ribattezzò “il direttorio”. Pisapia disse di aver agito così per difendersi. Per provare che era costretto a obbedire. La trascrizione delle registrazioni fecero emergere lo spaccato di una Asl manovrata da De Girolamo, in cui ogni decisione – dagli appalti del 118 alla collocazione dei presidi sanitari – veniva presa non per l’interesse della salute della collettività, ma secondo calcoli di ritorno elettorale per la deputata e poi ministra. Con in più le pressioni di De Girolamo per cacciare gli occupanti del bar dell’ospedale Fatebenefratelli – parenti coi quali era in conflitto – e sostituirli con una cugina. È il nastro più colorito tra quelli depositati, riguarda una riunione del 30 luglio 2012. Si ascolta De Girolamo chiamare “tirchio”, “diavolo” e “cagacazzi” il frate che sovrintende la gestione amministrativa della piccola catena ospedaliera e religiosa, “coglione” il direttore amministrativo dell’ospedale, invocare ispezioni ritorsive se non viene accontentata dicendo al manager dell’Asl Michele Rossi “mandagli i controlli e vaffanculo” perché non vuole “essere presa per culo”… “così (il direttore, ndr) si impara, che cazzo”. Il Fatto ha letto centinaia di pagine di registrazioni dalle quali si capisce perfettamente perché De Girolamo ha provato in tutti i modi a farle distruggere o quantomeno a renderle inutilizzabili al processo. Una memoria difensiva che invocava le guarentigie parlamentari è stata presto rigettata. Si è provato allora a mettere in dubbio la genuinità dei file audio. A quel punto Pisapia ha tirato fuori il cellulare delle registrazioni e lo ha messo a disposizione del Tribunale. Un perito ha accertato che gli audio erano autentici e non manipolati.

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