Per carità, ci rendiamo perfettamente conto che mettersi a parlare di calcio, che è materia effimera e superficiale, in un contesto come quello attuale può indurre a qualche scandalizzato scuotimento di testa; tanto più che intendiamo farlo con tono serio, come se invece si trattasse di argomento importante. E tuttavia siamo anche convinti che quello che scuote l’interesse popolare e coinvolge tanta gente sia comunque degno di attenzione, soprattutto quando stimola riflessioni ben più profonde, sui massimi sistemi. Sì, perché quello che è accaduto negli ultimi giorni culminando nella mancata disputa della partita clou del turno di campionato, Juventus-Napoli, e il dibattito che si è aperto e che terrà banco nei prossimi giorni minaccia di essere assai più rilevante di se stesso perché, di fatto, contrappone salute e soldi, prevenzione ed economia, contagio e impoverimento.
Che poi, a ben considerare, è la madre di tutte le questioni, lo stesso conflitto di cui da mesi si dibatte in ogni sede e che sarà sperabilmente risolto da uno dei due dei ex machina attesi, vaccino e recovery fund, magari entrambi.
Solo che adesso la questione si pone in termini di bruciante urgenza, contrapponendo addirittura due ordinamenti, quello dello Stato rappresentato dall’Asl Napoli 1 e quello sportivo e privato, rappresentato dalla Lega Calcio Serie A. Come dite? Che in termini di diritto lo Stato prevale su ogni ordinamento privato operante sul territorio? Sì, così dovrebbe essere e così risultava anche a noi. Ma a fronte della prescrizione all’isolamento fiduciario dell’Asl inflitta al Napoli, per avere un rischio elevato di positività al Covid-19 in incubazione avendo registrato due calciatori positivi, la Lega ha detto: no, amici cari, si gioca. Perché lo spettacolo deve continuare e girano un sacco di milioni di euro, quindi se non vi presentate perdete tre a zero a tavolino. E poco importa se non potete partire, se vi state attenendo a una prescrizione che ha valore di legge, se non volete commettere un reato. Noi dobbiamo andare avanti, e non ci possiamo fermare davanti a una bazzecola come la salute vostra e dei vostri avversari, che potreste contagiare come peraltro è successo a voi la settimana scorsa, quando il Genoa che aveva una ventina di positivi è venuto al San Paolo ugualmente, immolandosi in un risultato tennistico ma facendo girare comunque la ruota dell’ingranaggio.
Immaginiamo la faccia incredula del lettore che non si interessa di calcio e che legge comunque queste note. Mai possibile? Esiste una simile arroganza? Sì, caro lettore. Esiste eccome. E opera in piena tranquillità, ignorando raccomandazioni e indicazioni. E addirittura vorrebbe, questa incredibile supponente arroganza, aprire agli spettatori almeno il venti per cento della capienza degli stadi, ventimila persone assembrate all’ingresso e all’uscita anche se all’interno assai ipocritamente distanziate di un metro, tanto chi se ne frega se gli ospedali traboccano di nuovo, se in terapia intensiva ci sono tanti pazienti e se c’è il dubbio se tenere aperte le scuole o meno.
Tutto si può fermare, in Italia, tranne il calcio. Che vince sempre il campionato della faccia tosta e della strafottenza.