“Se mi chiama sondaggista metto mano alla pistola”.
Nando Pagnoncelli fa ricerca e analisi dell’opinione pubblica e da tempo ci spiega, misurando la pressione degli elettori, quanto gli italiani siano meno furbi di quanto crediamo e molto più ignoranti di ciò che penseremmo.
La maggioranza assoluta di chi va a votare (il 54 per cento del totale) ha una istruzione che raggiunge al massimo il titolo di terza media. E di questa bella metà il venti per cento non ha nessun titolo di studio.
Neanche la quinta elementare?
Nessuno.
Una parte anche cospicua di coloro che votano centrodestra – secondo la sua ultima stima – ritiene che Conte sia il miglior presidente del Consiglio possibile? È grande la confusione sotto questo cielo.
Invece no. Il giudizio sul governo e su questo premier attiene al modo in cui sta gestendo questa pandemia. C’è consapevolezza che sia un grande guaio e che lui stia facendo il meglio possibile.
Sta facendo il meglio possibile, però una porzione anche robusta dei sostenitori poi vota i partiti che accusano Conte di fare il peggio possibile.
Perché distinguono la politica dalle istituzioni. Separano la passione personale dalla valutazione fredda della realtà. E infatti non c’è altra spiegazione se prendiamo in esame la percentuale di coloro che danno un giudizio positivo (63%).
A me sembrano semplicemente scollegati dalla realtà.
Praticano la contraddizione. Che è anche il frutto di una conoscenza approssimata, di una formazione culturale che per molti si è fermata ai livelli più bassi e che per troppi non è manco iniziata a scuola.
Gli elettori sono canne al vento.
È certo che subiscono il “contagio” televisivo principalmente. La notizia di un minuto che passa al tg della sera, magari sostenuta da immagini di repertorio.
Se ascoltano un servizio sui migranti che manda in onda le immagini di un vecchio barcone colmo di corpi disperati crederanno all’invasione permanente.
Esatto. Se quell’immagine di repertorio è mandata e rimandata, il repertorio sarà l’attualità. Il passato diverrà il presente e anche il futuro. Infatti nel 2014 fu misurata l’esatta distanza tra la percezione e la realtà. Fu chiesto agli italiani quanti stranieri fossero in Italia. Risposero che almeno il 30 per cento della popolazione non era nativa (e in un’altra indagine risultò che i clandestini, secondo la percezione popolare, fossero poco meno della metà di tutti i migranti!). Il dato reale di chi è giunto da noi e qui risiede si ferma all’otto per cento del totale. E i disoccupati? La metà degli italiani, secondo gli intervistati, sarebbe senza lavoro (il 48 per cento per la precisione) a fronte della realtà che fissava a quel tempo la disoccupazione al 10 per cento. E gli anziani sarebbero addirittura il 49 per cento (il dato reale situa invece la terza età al 22 per cento).
Appare ciò che non è.
La paura è un sentimento prevalente. L’allarme sociale è la turbina, il propulsore di ogni azione. Poi l’età avanzata, la bassa istruzione e il canale televisivo monotematico (telegiornale delle venti in prevalenza) come fonte principale dell’informazione, accrescono una dimensione alterata di quel che esiste e si dovrebbe fare.
Internet non ha prodotto scossoni?
Non allarga il pensiero tra opposti ma tende a chiudere il confronto nelle rispettive case comuni.
Parlo solo con chi la pensa come me.
Esatto.
Così irrobustisco la convinzione di essere nel giusto. E magari invoco riforme, cambi di rotta.
Altro che! A patto però che non incidano sulla mia condizione.
Rivoluzionari col portafogli degli altri.
Su questo non c’è discussione.