Sabato 9 ottobre, FridaysForFuture è tornato – nel massimo rispetto delle misure di sicurezza sanitaria – in piazza. In cento città, da Milano a Vigevano, da Torino ad Aversa ci sono stati presidi e flash mob; accomunati da una sola richiesta: il Recovery Fund sia usato per la transizione ecologica.
Perché, però, in un momento di crisi come questo si dovrebbe parlare di clima? Perché si dovrebbe parlare di transizione ecologica? Non ci sono “altre priorità”? Partiamo dal principio, il nostro paese si trova nel mezzo di due crisi: la prima è quella economico-sanitaria, generata dalla pandemia di Covid-19, e la seconda – che alcuni media strategicamente ignorano – quella climatica ed ecologica.
Pensare che queste due grandi emergenze non siano collegate sarebbe estremamente riduttivo, così come lo sarebbe ipotizzare che la soluzione non possa che essere una sola. E, soprattutto, la pandemia non ha fatto sparire per magia la crisi climatica; anzi: con un tessuto sociale già indebolito, le devastanti conseguenze di un surriscaldamento globale fuori controllo saranno – se possibile – ancora più impattanti.
La minaccia esistenziale posta dall’emergenza climatica non può essere ignorata, essa infatti ha le potenzialità per mettere a dura prova la tenuta sociale del nostro paese e la sua stessa sopravvivenza: quando inizierà a mancare l’acqua, quando i ghiacci si fonderanno, quando i mari invaderanno le nostre case che cosa faremo? Così come la pandemia rischia di mandare al collasso il sistema sanitario; siccità, alluvioni, carestie, ondate di calore, aumento del rischio idrogeologico, innalzamento dei livelli dei mari. Così come è necessario appiattire la curva dei contagi, per poi arrivare allo zero assoluto, così è necessario ridurre drasticamente le emissioni e arrivare – in Europa entro il 2035 – allo zero assoluto.
Certo, oggi tutto ciò può sembrare lontano, quasi settario o millenaristico; ma la scienza che è il nostro e in questi tempi così bui, è la stessa che ci lancia l’allarme sul clima; e che ci mostra come, se non agiremo subito, la nostra società possa rischiare il collasso.
Insomma, la crisi climatica può benissimo essere vista come una pandemia a rallentatore; l’analogia però termina qui. Crisi climatica ed emergenza sanitaria hanno una grande, enorme differenza che si trova nel tipo di azioni da prendere per scongiurare il collasso; da una parte sanitario, dall’altro sociale.
Da una parte, la misura “immediata”, l’azione “emergenziale” è – nel caso più grave – il lockdown. Per contenere il virus, non abbia altra misura se non fisicamente rendere impossibile (o comunque estremamente difficoltosa) la sua circolazione. La misura drastica, forte, epocale ed emergenziale per il virus non viene senza conseguenze; tutti noi sappiamo cosa possano significare, per un paese, e per le sue persone più fragili, un lockdown. Dall’altra le misure da prendere per affrontare la crisi climatica sono sì epocali e senza precedenti, ma del tutto antitetiche con un lockdown.
Una vera riconversione ecologica, un vero Green New Deal – come quello proposto negli States dalla Cortez e da Sanders – darebbe una nuova vitalità alla nostra economia, creerebbe centinaia di migliaia (e sì, le cifre sono supportate da diversi studi) di nuovi e ben pagati posti di lavoro, ridistribuirebbe la ricchezza. Esso sarebbe la soluzione unica alle due crisi. Tutelare il nostro clima, impedirne il collasso, ci eviterà – nei prossimi decenni – di dover fronteggiare le devastanti conseguenze a cui si accennava sopra.
Una movimentazione di denaro come quella del Recovery Fund non si vedrà per i prossimi decenni, allo stesso tempo questo che è iniziato ora sarà l’ultimo nel quale l’azione climatica potrà davvero fare la differenza tra un mondo abitabile e uno dove, invece, si dovrà combattere per le pochissime risorse rimaste. Non solo questa è l’unica scelta possibile per impedire che i costi del collasso climatico – prima umani, ma anche economici (si parla di percentuali a doppia cifra del PIL) – ma è anche economicamente conveniente.
Non c’è motivo per prendere un’altra strada, se non fare gli interessi particolari di qualche gruppo di pressione, o di qualche lobby. Davanti a questa possibilità, la palla è ai politici.