Perché è successo? Perché Roma che, malgrado tutto, resta la Capitale d’Italia e un discreto luogo della beltà del mondo, debba essere il teatro politico per una sorta di Grande Fratello Vip non è dato sapere. Tra qualche mese, si vota e per la successione a Virginia Raggi, cui verrà conteso il Campidoglio, e c’è il nulla oltre la commedia televisiva di chi la fa e di chi la subisce.
E dal nulla, immancabilmente, sbuca Vittorio Sgarbi, l’unico del quale si sappia più di ciò che sarebbe necessario e anche utile sapere. Utile anche per lui, intendiamoci. Purtroppo l’ultimo confronto a cui si è sottoposto è stato, secondo le notizie di agenzia, con la modella Franceska (con la kappa) Pepe alla trasmissione della D’Urso. Lei l’ha affrontato: “Non te l’ho data”. Lui ha replicato: “Non te l’ho neanche chiesta e comunque sei stata con me un quarto d’ora dietro la porta di un bagno”.
L’effetto sgarbeide della sua inverosimile candidatura, che al novantanove per cento finirà com’è nata, rende purtroppo, per l’oggettiva proprietà transitiva, la Lupa una Capra. La capra è infatti il segno iconico della truppa sgarbiana, quel confuso popolo di acclamatori del critico d’arte e pluri-deputato, pluri-genitore (due figli riconosciuti, un terzo in forse, altri trentasette, a suo dire, effettivamente generati in convegni amorosi di breve, brevissima e anche media intensità, sparsi immaginiamo per l’universo), pluri-odiatore, e pluri-condannato, pluri-contabile della sua lucrosa e fascinosa attività di affabulatore.
Sgarbi è Sgarbi. E nell’amoralità sia personale che politica (nel 2013, per fermarci solo alle ultime proposte attive dall’infinita lista dei simboli coniati, fonda una specie di partito col democristiano abruzzese Catone, e fa splash. Nel 2017 con Giulio Tremonti compone il simbolo Rinascimento, e rifinisce male), in questo unicum identitario che lo assolve da ogni peccato e lo fa sembrare buono anche quando è cattivo, generoso quando invece è micragnoso, e leale nella slealtà che pure lo insegue in ogni angolo della sua vita, arriva Roma.
Finora si era tenuto lontano dalle città, aveva saltellato tra paesi (San Severino Marche, Salemi, Sutri) facendo l’assessore o il sindaco. Promuovendosi, dimettendosi e anche, forse, molto annoiandosi. Ora siamo a Roma. Al set principale della prossima disfida politica. Ma da Roma, che è città straordinaria ma disgraziata, si fugge. Il Partito democratico ancora non riesce a trovare nessuno che accetti la disgrazia di essere il candidato. Cosicché l’unico che si fa avanti, Carlo Calenda, è anche un suo eletto che subito l’ha tradito, promuovendo un’opa ostile.
E il centrodestra? Non pervenuto. Un mezzo giro di campo di Massimo Giletti, capofila del giornalismo narciso, rumoroso e dunque inquadrabile nella categoria sociale oggi affluente dei fantuttoni, lascia il progetto sospeso. Non dice né sì né no. E vabbè. Resta dunque in campo, almeno per queste prossime due settimane, il programma sgarbiano per la Roma delle capre da rieducare: musei gratis per tutti. C’è anche un’apertura di credito per gli studenti, si andrà a scuola alle dieci del mattino per ridurre il traffico, e per gli spericolati della strada: zero multe stradali perché gli autovelox hanno stufato.