Avete notato che nei telegiornali l’ultima parola viene data sempre agli esponenti dell’opposizione? E perché Salvini e Meloni (più qualche forzista) devono chiudere il notiziario della politica con i loro non sempre illuminati pareri? Una volta c’era il “panino”, ora è scomparso. Nei tiggì il racconto della politica politicante regalava al governo e alla maggioranza la prima e l’ultima parola, schiacciando (come in un panino) l’opposizione in mezzo alle dichiarazioni dell’uno e dell’altra.
Inventato da Mimun (ora al Tg5) che da direttore del Tg1 nei primi anni Duemila, in pieno “regime” berlusconiano, così garantiva alla destra al potere il diritto di chiudere il battibecco politico quotidiano. In realtà il “panino” lo aveva creato al Tg2 col primo Berlusconi, salvo poi fare con l’Ulivo al governo l’esatto contrario, concedendo la prima e l’ultima parola sempre all’opposizione.
Questo modello, che si estese negli anni successivi ai vari tiggì e prosperò sotto varie cromature politiche, da alcuni anni non esiste (quasi) più. Al suo posto vive uno schema fisso che concede l’ultima parola all’opposizione, e ciò indipendentemente da cosa si discute, dalla notiziabilità delle opinioni espresse, dall’importanza delle stesse nell’economia del discorso. Succede in tutti i telegiornali tranne che al Tg di Enrico Mentana.
Sicché adesso succede che prima parli il governo, poi i sostenitori del governo (che al Tg5 e al Tg2 sono spesso “divisi”, a volte “su tutto”) e a conclusione della litania giungano le parole definitive di Salvini, magari seguite o precedute da quelle della Meloni e/o di Tajani. Una ferrea che garantisce a chi parla per ultimo un vantaggio comunicativo.
Come spiegava Umberto Eco parlando dell’artificio della concessione nel linguaggio corrente: perché una cosa è dire “il cane è il miglior amico dell’uomo ma può essere aggressivo”, dove è la connotazione negativa dell’ultima frase a prevalere; altra invece “il cane può essere aggressivo ma è il miglior amico dell’uomo” dove è chiaro che vince la connotazione positiva nel qualificare il quadrupede.
Ora la soluzione non è quella di ripristinare l’odioso “panino” a vantaggio di chi sta al comando, ma perché non informare con metodo più circolare e aperto, magari evitando il noioso carosello di esternazioni ai microfoni del giornalista di turno che le raccoglie senza profferire verbo, e alternando in chiusura ora l’uno, ora l’altro, degli esponenti avversari a seconda del contesto e della valenza informativa di quanto viene detto?
A dire il vero il Tg La7 di Mentana prova a sottrarsi a questa abitudine con un tipo di narrazione diversa, un tentativo di costruire un “racconto” politico di giornata che fa quasi a meno del parlato degli attori, i cui tempi sono da queste parti veramente risicati, poche decine di secondi al mese o meno. L’apprezzabile sforzo però finisce per infrangersi in una conduzione a singhiozzo, priva del ritmo necessario, lontanissima da quella a “mitraglia” con cui Mentana ( che appunto “mitraglia” era soprannominato) conduceva il Tg5 e prima ancora il Tg2.
Forse anche per questo e forse anche per via del parlato del conduttore (non solo Mentana) che sovrasta tutto il resto, la scelta coraggiosa di fare a meno dei “santini” dei politici non fa audience. Il Tg La7, infatti, con il suo nobile tentativo di proporre una lettura giornalistica più complessa della politica vive oggi su ascolti che non vanno oltre il 5-6% di share, penultimo tra i sette principali tg.
Ps.: le ultime notizie (Agcom) sul pluralismo all’italienne ci dicono che negli ultimi dieci giorni di settembre Salvini è quello che più parla: 1) nei due tg più visti, Tg1 e Tg5, con circa 14 minuti (prima di Conte con 11’); 2) nei talk Rai con 118’ (prima di Prodi con 40’); 3) nei talk di Mediaset con 75’ (prima di Sgarbi con 54’). Infine nei programmi di La7 il primo è Toti con 55’, poi Zingaretti con 47’.