Se si vuol toccare con mano il rispetto della Costituzione da parte di una Repubblica che si dice fondata sul lavoro nel primo articolo e proclama la rimozione delle diseguaglianze all’articolo 3, basta entrare in una scuola e vedere come sono trattati gli assistenti dei disabili.
C’è una figura fondamentale per assolvere questa missione costituzionale: l’AEC, Assistente educativo culturale. Non è un caso che nessuno conosca l’acronimo. Gli AEC sembrano invisibili per la politica come spesso lo sono i disabili. Non hanno i titoli né i diritti di un insegnante di sostegno. Eppure sono loro nei fatti a garantire i diritti degli studenti e delle loro famiglie.
Solo a Roma sono circa 3 mila e il 16 ottobre hanno ricevuto l’ennesimo ceffone: la bocciatura in Campidoglio della proposta di iniziativa popolare per internalizzare il servizio e renderli finalmente lavoratori con diritti come gli altri. Eppure sono gli AEC che prendono in consegna il bambino disabile quando i genitori lo accompagnano a scuola. Lo portano in classe e restano con lui quando (spesso) non c’è l’insegnante di sostegno per carenze di organico. Sono gli AEC che lo accompagnano a mensa (senza mangiare anche loro perché non ne hanno diritto) e poi in bagno quando i “bidelli” si rifiutano di farlo. Non dipendono dai comuni ma dalle cooperative o imprese sociali, di qui la battaglia per l’internalizzazione del Coordinamento AEC romano. Sono pagati 8,5 euro lordi all’ora, cioè meno di 1.100 euro al mese. Lordi.
In media lavorano 36 ore a settimana e non hanno diritto a ferie o malattia. Il Coronavirus ha reso questa situazione ancora più ingiusta. In tempi normali il rischio è che lo studente si ammali a lungo e l’AEC non venga pagato.
Ora però capita che il disabile sia sano ma un’intera classe o una scuola sia chiusa. Il rischio sulle gracili spalle dell’AEC si è appesantito.
I contratti con le coop sociali spesso non prevedono tutele. Se la coop non presta il servizio, il comune non paga. Se il comune non paga, l’AEC non mangia. A meno che la cooperativa non si faccia carico graziosamente dei suoi problemi economici.
Solo a Roma ci sono più di 30 coop in concorrenza tra loro e ognuna pratica agli operatori un trattamento diverso. La giunta Raggi aveva tentato una gara unica, ma tutto si è arenato davanti alla giustizia amministrativa.
Molti evitano di rilasciare dichiarazioni perché le cooperative non amano pubblicizzare la loro condizione di sfruttati. Germano Monti, operatore e portavoce del comitato romano AEC ci mette la faccia e spiega “I 3 mila AEC di Roma seguono 10 mila alunni dalle materne alle medie. In tutta Italia saremo circa 55mila eppure nessuno si rende conto che con il Covid la situazione già grave è diventata esplosiva. Le cooperative non forniscono dispositivi di protezione adeguati. I ragazzi disabili non sono in grado di mantenere la distanza sociale. Non tengono la mascherina, spesso sputano mentre parlano e cercano il contatto. Molti operatori si stanno ammalando di Covid. Tra malati, un paio anche gravi, e isolati in quarantena solo a Roma abbiamo superato i cento AEC”. Anche il rischio economico aumenta. “Quasi tutti gli AEC – spiega sempre Monti – stanno lavorando con orari ridotti. Un po’ perché cambiano gli orari e un po’ perché i genitori non mandano a scuola i figli immuno-depressi”.
Durante la scorsa primavera poche cooperative hanno anticipato lo stipendio agli AEC che non prestavano servizio e la cassa integrazione è arrivata tardi. “A me e a centinaia di colleghi – racconta Monti – è arrivata la scorsa settimana”.
Un altro AEC ci racconta sotto garanzia di anonimato: “La beffa è che siamo considerati dipendenti a tempo indeterminato però senza l’estate. L’unica soluzione per me sarebbe l’assunzione non da parte del comune, ma a livello nazionale sotto il Miur”.
Monti ritiene questa strada molto in salita. “La legge 104 del 1992 assegna questi servizi ai comuni e quindi bisognerebbe cambiare la 104 il che mi sembra difficile”. Per questa ragione 12mila cittadini hanno firmato un’iniziativa popolare per far approvare una delibera comunale che internalizzasse il servizio almeno a Roma. La delibera è stata però bocciata grazie all’astensione del M5S e del Pd scatenando l’ira del comitato romano AEC.
Secondo la consigliera Maria Teresa Zotta intervenuta per il M5S in Campidoglio, la delibera non andava approvata perché c’erano da fare prima altri passi come la modifica di una legge regionale. Il M5S si è impegnato a risolvere il problema. “Mi piacerebbe crederlo – chiosa Monti del Comitato AEC romano – ma in dieci mesi di tavolo tecnico con l’assessore Antonio De Santis del M5S, non abbiamo concluso nulla”.